Il CdS: «Terza ondata covid-19 colpisce l'Italia: calcio a rischio stop»

06.03.2021 17:30 di  Nicolas Lopez   vedi letture
Fonte: Corriere dello Sport
Il CdS: «Terza ondata covid-19 colpisce l'Italia: calcio a rischio stop»

Com’è triste Sassuolo soltanto un anno dopo. Lì si concluse l’ultimo weekend di calcio prima della serrata. C’erano le porte chiuse e ci sono ancora. Con il rosso andavi a casa, l’arancione indicava una situazione un po’ più grave del giallo.

È ancora uguale, calcio e vita si sovrappongono. Ma ora, a pronunciarli, quei colori, non viene in mente un pallone die rotola ma un indice che sale. Il calcio è un secchiello che tenta di riempire una buca nella sabbia. Non ce la fa, ma almeno si/d tiene impegnati. Stadio di Reggio Emilia lunedì 9 marzo 2020: Sassuolo-Brescia 3-0. Ciccio Caputo, autore di una doppietta, dopo il primo gol mostra un cartello: “Andrà tutto bene. Restate a casa”.

Diventerà un mantra, ci credevamo. Adesso non più. Il Paese è in crisi, i contagiati proprio ieri hanno superato i 3 milioni. E nel caldo si litiga, ognuno chiuso nella sua parrocchietta. E solito. Però, per adesso, si va avanti. Altri non possono dire lo stesso.

La diffusione del virus trova tutti impreparati. La prima giornata a essere investita è la 25a, spezzata in due, ma è la successiva, con Juventus-Inter di mezzo a provocare polemiche, insulti e hashtag perentori, tipo #campionatofalsato. Madama vorrebbe il pubblico (5 milioni di incasso), l'Inter che il recupero non ingolfasse la stagione di Conte, tra campionato e coppe (VotAntonio le aveva). Fa tenerezza rileggere quelle parole perché vi troviamo la convinzione che si possa torna¬re alla regolarità in poche settimane.

E Dpcm del 4 marzo dispone che “per un mese, fino al 3 aprile, le partite della Serie A si disputeranno a porte chiuse”. E invece quando Manganiello fischia la fine a Sassuolo, comincia il lungo addio del football. Tre mesi e passa senza calcio. Sassuolo-Brescia, però, non è l’ultima partita di una squadra italiana. Il giorno dopo, martedì 10 marzo, l’Atalanta gioca lo storico ritorno degli ottavi di Champions a Valencia, a porte chiuse. E Uefa, al solito, non ha preso decisioni certe, infatti, mercoledì 11.300 spagnoli vanno a Liverpool a esultare per l’Atletico Madrid che vince 3-2. I 52mila di Anfield Road stretti, stretti, sono una iattura. Un anno dopo le partite inglesi e spagnoli le vengono a giocare a Torino.

In quei mesi abbiamo tirato fuori l’album dei ricordi, raccontando un calcio d’antan per riempire il vuoto. Gli altri l’hanno riempito di litigi. Lega, Figc, Coni, ministro Spadafora (una prece) tutti contro tutti sul­la ripresa, con i presidenti di se­rie A che al posto di una strate­gia comune (al solito) cercano di ottenere quello che pensano sia meglio per il loro dub. Chi crede che sia l'anno buono per lo scudetto ma non è primo, pre­me per ricominciare al più pre­sto. Chi è ai bordi del baratro re­trocessione e teme di finirci, dentro, punta a un anno d’amnistia. Niente su, niente giù. Soprattut­to rispunta il luogo comune di un caldo di ricchi e famosi, vizia­to e distante dal popolo, dimen­ticando che il calcio è una gran­de chiesa, direbbe Jovanotti, che va da Ronaldo a quello che pu­lisce le tribune dopo la partita. Il primo problemi non ne ha, il secondo sì (ancora oggi, visto che non c’e niente da pulire). Gli stadi sono come i ristoranti. Vogliono riaprire e avere clienti.

Alla fine, dopo infinite di­scussioni, minacce, accuse reci­proche e cambi di schieramen­to, viene approvato un proto­collo che consente al pallone di rivedere le stelle il 12 giugno con Juventus-Milan, semifina­le di Coppa Italia. Gigi Buffon, alla vigilia, racconta (i calciato­ri hanno un’anima), che “è sta­to un periodo complicato, ed ha messo a dura prova, il senso di indeterminatezza condizionava il nostro umore”. Il campionato di luglio e le Coppe europee a seguire, rappresentano qualco­sa di inedito, imperfetto, a volte malinconico, ma che, alla fine, funziona. Andche perché d’esta­te il virus sembra quasi scom­parso e i “Mille” vengono am­messi allo stadio.

Quasi scomparso. Ri­appare coni primi freddi. E con lui i “furbetti del protocollino”. Finché i club non avevano con­tagiati (o erano rari) nessun pro­blema, poi fatta la legge, trova­to l'inganno. Lega, Figc e Coni non aiutano, anzi, complicano. Il protocollo si doveva aggior­nare, qualcuno ha ciurlato nel tampone, ci sono Asl interventiste e altre isolazioniste. Navi­gazione a vista. Ecco, qui siamo, un anno dopo. Il calcio continua a litigare, dal protocollo ai diritti tv/fondi. Però almeno è coeren­te, è stato sempre un po’ stronzo e non ha mai finto di essere migliore, come quelli che canta­vano dalle finestre o come quelli che non hanno risol­to nulla.

Ieri il Governo ha ri­velato che sono un milio­ne e mezzo di vaccini fermi nei frigoriferi su 6 milioni e mez­zo distribuiti. Forse Ciccio Caputo quel cartello eviterà di rimetterlo, ma il calcio, almeno, qualcosa ha di­stribuito. Parti­te, discussioni, spettacolo. Un briciolo di con­tentezza.