Clodiense, Ballarin a NC: "Difficoltà per tutti, ma sui rimborsi serve un accordo"

12.05.2020 19:15 di  Stefano Sica   vedi letture
Clodiense, Ballarin a NC: "Difficoltà per tutti, ma sui rimborsi serve un accordo"

Capitano coraggioso. Di lunga e provata esperienza per la categoria. Simbolo sportivo e umano della sua Chioggia, nella quale si è svolta oltre metà della sua carriera, intervallata da una parentesi all'Adriese con un'esperienza iniziale nel vivaio del Genoa, là dove ha lavorato con gente come Pisacane, Aurelio, Criscito o Vincento Cutolo (fratello di Nello). Ne ha fatta di strada Alberto Ballarin, centrale difensivo della Clodiense, con un solo piccolo rammarico: non aver avuto la possibilità di giocare al Sud. Lui, veneto doc, lo avrebbe desiderato. La sua indole caratteriale aperta e spensierata lo avrebbe quasi preteso. "In passato sono stato molto vicino all'Hinterreggio - ci racconta -. Poi non se ne è fatto nulla. Ma questo resta il mio cruccio. Io sono una persona estroversa, che vive di emozioni e di adrenalina. Al Sud avrei trovato la mia dimensione perfetta in qualche piazza calda, che sa darti stimoli e che ti fa sentire davvero calciatore. Tuttavia una cosa voglio dirla: qui a Chioggia abbiamo un bel tifo. Sotto questo aspetto non possiamo lamentarci. I nostri tifosi sanno trasmetterci il calore e la passione giusti. Io poi mi sento uno di loro, essendo cresciuto praticamente in curva. Chioggia è la mia città, ed essere acclamato dalla propria gente è una soddisfazione impagabile. Mettiamoci la famiglia, gli amici, gli affetti, è diventato difficile recidere questo cordone ombelicale. Per questo sono rimasto quasi sempre vicino casa, magari declinando anche qualche proposta dalla Lega Pro. Ma non rimpiango nulla della mia carriera: alla fine ognuno raccoglie ciò che semina e io, personalmente, sono contento di quello che ho fatto in tutti questi anni. Comunque ne ho anche un altro di cruccio".

Quale?

"Ho fatto cinque anni al Genoa, nel settore giovanile. Ero arrivato fino alla Primavera, aggregato anche alla prima squadra. Non riuscii ad esordire per un infortunio. Ero in panchina con Edy Reja, ma ho vissuto emozioni uniche. Ecco, è stato un peccato non fare almeno una apparizione con la prima squadra. Ma è stato un caso". 

Questione rimborsi: siamo ancora lontani dalla risoluzione di questo problema.

"Il nostro è un lavoro a tutti gli effetti. I tempi neanche ci consentirebbero di fare altro. Ci mettiamo dedizione, professionalità, lo svolgiamo a 360°. Curiamo la nostra alimentazione, i nostri stili di vita. E poi c'è l'aspetto psicologico, perché la nostra è una attività agonistica piena, che ci assorbe una settimana intera e pretende grande competitività. Poi attenzione: sono il primo a dire che noi calciatori siamo dei privilegiati. Facciamo un lavoro che ci piace, che è bello, che ci consente di trascorrere due ore al giorno su un campo di calcio a contatto con gli altri. Ma c'è il rovescio della medaglia: noi in D non siamo tutelati. Siamo le prime vittime dell'emergenza Covid perché non siamo tecnicamente professionisti. Siamo pagati solo 10 mesi su 12 e non abbiamo la cassa integrazione. Ci troviamo in uno scenario particolare che è più difficile affrontare rispetto al professionismo. Molti presidenti di D fanno fatica ad onorare gli impegni perché si trovano in una situazione inedita, cercando di regola di far quadrare i conti con le risorse derivanti dalla propria attività personale nonché dagli sponsor. E ora l'epidemia ha messo a rischio la stabilità finanziaria delle loro aziende. Sappiamo bene che in queste categorie non ci sono margini di guadagno, e il classico patron di un club è un uomo solo. Ma va ricordato che gli atleti dilettanti rischiano di non percepire rimborsi per cinque mesi consecutivi, compresi i due estivi. Una enormità. E per questo serve un accordo. Bisogna venirsi incontro, tenendo presente che, se da un lato ci sono club in difficoltà, dall'altro ci sono calciatori che hanno famiglie da mantenere e spese fisse da rispettare. Ragion per cui siamo in perenne contatto con esponenti delle altre squadre del girone, anche per aggiornarci reciprocamente. La serie D ha fatto passi in avanti negli ultimi anni, ma servono mezzi di contrasto alle furbizie di alcuni". 

Intanto non ci sono ancora decisioni ufficiali circa la chiusura del campionato di D. E Sibilia resiste.  

"Non capisco perché si indugi ancora. Per me dovrebbe essere annunciato lo stop definitivo. Ed è giusto che chi è primo in classifica vada su. Il Campodarsego, seppur rallentando negli ultimi tempi e con lo scontro diretto con noi da giocare, era primo già da un po'. Fatto sta che vanno prese decisioni in modo celere. In A posso anche capire che si faccia di tutto per ripartire e si aspetti a lungo: è un mondo che fa lavorare tantissime figure, interne ed esterne al calcio".    

A quasi 36 anni stai pensando ad un futuro nel mondo del calcio? 

"Sinceramente non so. Mi sto guardando intorno anche al di là del calcio. Questo resta comunque un mondo che mi assorbe moltissimo. Sono l'ultimo ad andar via agli allenamenti, sono quello che cerca sempre di tenere su l'umore del gruppo, che fa gli scherzi ai compagni e si diverte. So che questo ambiente mi mancherebbe tanto. Vedremo. Ho sempre sentito molto le partite, in campo non le ho mai mandate a dire. Magari mi sono calmato solo col tempo, ma a me non è mai piaciuto perdere. Era un modo per tenermi vigile io, e spronare i compagni".