Giampaolo Calzi a NC: "In Svizzera la mia nuova vita. Ecco come è accaduto..."

30.10.2020 13:45 di  Stefano Sica   vedi letture
Giampaolo Calzi a NC: "In Svizzera la mia nuova vita. Ecco come è accaduto..."

"Ora sono felice, sì. Coraggio e determinazione mi hanno premiato". Castel San Pietro, distretto di Mendrisio, poco più di 2000 abitanti. A separare questo centro del Canton Ticino dalla sua Varese, ci sono appena 20 chilometri. E' da qui che è ripartita la nuova vita di Giampaolo Calzi, 35 anni compiuti lo scorso settembre, un curriculum nel calcio ormai celebre e rinomato. Intuito, capacità di guardare avanti e anticipare gli eventi. E tanta forza interiore come sovrastruttura indispensabile per qualsiasi svolta esistenziale. Oggi l'ex centrocampista della Pro Patria - che la Svizzera la conosce molto bene avendo giocato col Bellinzona da febbraio a giugno del 2017 - veste la maglia dell'AS Castello, club che partecipa al campionato regionale di Seconda Lega e disputa le gare casalinghe a Mendrisio. Ma la militanza con le "caprette", per lui, è oggi soltanto un'attività accessoria. Perché gran parte della giornata lo assorbe nel suo nuovo lavoro che lo vede impegnato nel campo sanitario, proprio in Canton Ticino.  "Non è stata una scelta facile -  ci dice -. Quando fai il calciatore per vent'anni, la tua ambizione è sempre quella di restare in questo mondo una volta smesso. Di poter essere utile in qualcosa, secondo le tue competenze e le tue aspirazioni. Ho riflettuto molto durante il lockdown, mi sono guardato dentro, ho pensato a ciò che volessi realmente per me. E avevo capito che la passione era improvvisamente svanita. Il calcio è sempre stata la mia vita, al di là del fatto che rappresentasse anche un lavoro. Poi ho dovuto prendere delle decisioni. Forti, ma inevitabili". 

Cosa ti ha indotto davvero a cambiare strada? 

"L'ultimo anno calcistico è stato per me pessimo sotto ogni punto di vista, forse il più brutto della mia carriera. Avevo iniziato la stagione alla Vergiatese per poi trasferirmi al Ponte Tresa in Promozione. Tante, troppe situazioni mi hanno sfiancato, fin quando il mio entusiasmo, già messo a dura prova negli ultimi anni, non è definitivamente evaporato. Negli ultimi tempi mi sono imbattuto in realtà carenti proprio da un punto di vista umano, prima che sportivo. E il paradosso è che queste situazioni le ho trovate più tra i dilettanti che tra i professionisti. Noi calciatori siamo sempre vittime dell'emotività e dell'incoerenza dei presidenti e di tanti che gli ruotano intorno. Oggi fai bene e sei il più forte di tutti, domani le cose non vanno e il progetto finisce. Perdi i soldi e chi si è visto si è visto. Ma questa non può essere la regola. E qui torniamo al discorso delle tutele per i calciatori che affrontammo insieme qualche mese fa. Io sono uno che, quando parla con una persona, gli stringe la mano e la guarda negli occhi. Sarebbe bello se anche gli altri si comportassero allo stesso modo con me. Un'utopia, negli ultimi anni. Tanto da indurmi a smettere di giocare". 

E poi ci hai ripensato.

"Ma solo perché si è aperta per me una strada nuova e affascinante. Io avevo ormai deciso di smettere, soprattutto dopo averne parlato con mia moglie. Volevo disintossicarmi da questo mondo ed uscirne silenziosamente. In precedenza, ero anche pronto anche ad intraprendere una nuova avventura nel calcio. Poi ho rinunciato".

Quindi, la tua grande occasione.

"Un'occasione che non mi sarei mai aspettato. Mi avevano chiamato tre squadre in Italia, ma io avevo ormai deciso di mollare tutto. E declinai le proposte. Poi un giorno mi arriva una telefonata dalla Svizzera: dall'altro capo del telefono c'è mister Amedeo Stefani, il quale mi prospetta di andare a giocare al Castello. Il suo discorso è subito chiaro e mi dice: abbiamo bisogno di un elemento con le tue caratteristiche, ma sappi che noi non diamo rimborsi ai calciatori, però abbiamo la possibilità di trovarti un lavoro. Accetto un incontro col presidente Enrico Brumana, una persona splendida, il quale mi conferma che, prima di firmare, è necessario che io venga messo a posto da un punto di vista lavorativo. L'occasione è propizia per conoscere anche il Ds Davide Kleimann, che è peraltro il nostro attaccante. Anche lui una persona magnifica e ci tengo a sottolinearlo. Curiosamente io, Kleimann e il mister siamo praticamente coetanei, perché loro sono del 1984 e io di un solo anno più giovane".

E sei rinato.

"Questa è stata finora una delle esperienze più belle che io abbia mai vissuto nella mia vita. Ecco perché sono grato non solo al presidente, al mister ed a Kleimann, ma anche ai miei compagni. Qui ho ritrovato i valori che respiravo vent'anni fa, quando il piacere di giocare al calcio e di stare insieme veniva prima di tutto. Al Castello siamo tutti uguali e questa è la nostra forza. Siamo compatti, un gruppo vero di amici, ognuno con le proprie vite ma una famiglia quando ci ritroviamo. E poi c'è un'organizzazione rodata. Qui non esiste la sottocultura di puntare il dito su qualcuno che gioca male. Non è un caso che parliamo di giocatori che militano in questa società da 15 anni. Questo non significa che gli allenamenti siano blandi o morbidi: da noi si corre e si va a a 100 all'ora. C'è intensità come del resto nelle partite ufficiali. Per atleti che non percepiscono nulla, è indicativo. C'è entusiasmo e l'atmosfera è davvero bella anche per merito di chi ci segue. Giochiamo in uno stadio vero, i nostri tifosi ci tengono e tutto questo ci responsabilizza. Diciamoci la verità: il Castello è rimasto una delle poche mosche bianche del calcio regionale ticinese. Ma è il calcio svizzero in genere ad essere competitivo, chi pensa sia ancora arretrato, sbaglia". 

Infatti anche nelle competizioni europee presenta sempre qualche big storica. 

"Chi non conosce certi aspetti, può venire a vedere come lavorano i settori giovanili. Basti prendere l'esempio del Team Ticino, che sforna continuamente giocatori per le grandi società. Si tratta di un club virtuoso in questo tipo di programmazione. Va anche aggiunto che in Svizzera, nei campionati regionali del Canton Ticino, il livello tecnico è alto proprio perché il lavoro è la priorità per tutti. Questo fa in modo che tanti calciatori che hanno giocato in campionati importanti, scendano di categoria in quanto hanno anche un'altra attività. Quindi nelle Leghe minori non si vive di calcio ma la concorrenza è ugualmente forte. Poi è ovvio che se giochi nel Lugano o nel Bellinzona, devi concentrarti solo su quello".

Come sta andando il vostro campionato?

"Al momento è tutto sospeso fino al 12 novembre. Siamo primi in classifica, con quattro partite ancora da giocare prima che finisse il girone d'andata".

Hai giocato in tante squadre, ma un pensiero alla Reggiana, tornata in B dopo 21 anni, non può essere evitato.   

"Di Reggio ho solo un ottimo ricordo. Come città e come annata. Lì sono stato benissimo e certamente mi ha fatto piacere della loro promozione". 

Anche se il tuo vero amore è un altro...

"Certo. La Pro Patria. Ho vissuto anni bellissimi con le tigri, indimenticabili. Ho coltivato amicizie importanti, penso a Matteo Serafini, Michele Ferri o Andrea Pisani che oggi è al Portogruaro in Eccellenza. Poi ho anche il rimpianto Varese, la squadra della mia città. Ho giocato con loro solo pochi mesi, senza purtroppo incidere. Arrivai con aspettative altissime, reduce da un campionato vinto a Venezia. Stavo bene e sapevo a 31 anni di poter dare ancora tanto. Ho fatto le prime cinque partite benissimo, con tanti assist. Poi mi sono fatto male al ginocchio e da allora è iniziato il mio calvario. Non vedevo l'ora di rientrare, e il giorno fatidico slittava sempre. Fin quando non mi sono trasferito a Bellinzona. Peccato, ci tenevo tantissimo: mio padre ha sempre tifato Varese e io stesso ero un ragazzo di Curva. Resta la grande amicizia con Ciccio Baiano, col quale mi sento sempre: feci un paio di partite con lui prima di farmi male. Ma un ottimo rapporto l'ho avuto anche con mister Bettinelli, a dimostrazione che per me il lato umano è prioritario, così come avere a che fare con persone vere e non viscide".     

Ci tenevi a fare un appello. 

"Sì, ai calciatori più giovani ma a chiunque sia ancora in attività. Pensate per tempo a ritagliarvi un percorso alternativo al calcio il giorno che smetterete. Rendetevi conto che non si può vivere di calcio e, soprattutto, non fatevi illudere da 2 o 3 anni sulla cresta dell'onda. Non tutti possono essere fortunati come lo sono stato io: in carriera ho guadagnato ciò che bastava per garantirmi tranquillità e ora ho avuto anche questa chance meravigliosa. In questo mondo prevalgono tanti personaggi equivoci, furbetti, incompetenti e abili nei loro intrighi. Tuttavia io non sono mai sceso a compromessi e mai lo farò in futuro. Ci sono persone che non si schierano mai. O, peggio, accettano di tutto pur di avere una visibilità. Io porto la mia professionalità e le mie competenze: tutto questo ha un costo. Ci ho sempre messo cuore e passione in quello che facevo, per poi ritrovarmi invischiato in situazioni assurde ed in vere e proprie miserie umane. Ho detto basta a tutto questo. Io in carriera ho lavorato con direttori prestigiosi come Perinetti, ma sempre umili e disponibili. Tra i dilettanti, mi sono cimentato con pseudo direttori che avevano atteggiamenti da divi, come se avessero fatto calcio ad altissimi livelli per 30 anni ed oltre. E io, mi si creda, non ho mai messo davanti il fatto di aver giocato tanti anni tra i professionisti. Eppure molti non capiscono che, ormai, la figura del Direttore sta perdendo valore, a qualsiasi livello. E sarà sempre così fin quando ci saranno presidenti che si comportano da padri padroni. Tuttavia c'è una persona che vorrei ricordare".

Chi?

"Fabrizio Ferrigno, mio compagno di squadra a Catanzaro. Un ragazzo sempre sorridente, semplice, sincero, splendente nella sua normalità. E un calciatore fenomenale all'interno di una squadra già forte. Non occorre aggiungere altro".