La denuncia di Pablo Garbini: "Quadro peggiorato, servono riforme serie per i calciatori dilettanti"

19.05.2020 19:15 di  Stefano Sica   vedi letture
La denuncia di Pablo Garbini: "Quadro peggiorato, servono riforme serie per i calciatori dilettanti"

Il suo rapporto con Alessandro Renica nasce da lontano. Dai tempi del Chioggia edizione 2003-04, quando l'ex difensore del Napoli scudettato guidava i granata in D e lui, con Alberto Ballarin, formava una coppia di centrali difensivi giovane, ma dal grande avvenire. Da allora ne ha fatta di strada Pablo Garbini, 37 anni a febbraio, argentino che al Nord ha trovato la sua dimensione professionale migliore - con due sole militanze in Campania tra le file di Paganese e Sorrento - e anche il dono di tanti affetti personali. Non è un caso che sia stato uno dei primi calciatori in attività ad esprimere sostegno e supporto al progetto messo in piedi per gli atleti che militano in D e nella categorie regionali, "Tutele e diritti dei calciatori dilettanti". Che qualcosa, negli ultimi anni, sia cambiato in peggio nel rispetto delle garanzie previste per i giocatori non professionisti, è del resto un fatto ineludibile che ha alimentato anche la sensibilità del difensore dell'Inveruno. "L'anno scorso ho dovuto fare una vertenza al Savona per le ultime due mensilità: non mi era mai capitato in 18 anni di serie D - esordisce ai nostri microfoni -. Qualche mese fa l'ho vinta, ma c'è un sistema di diritti e di tutele troppo debole, che va completamente rivisto. Noi siamo semplicemente invisibili. Non abbiamo meccanismi protettivi nè esiste un complesso di disposizioni che disincentivino le società a percorrere la strada della furbizia e degli espedienti. Firmiamo un contratto ma non sappiamo se saremo pagati, e neanche quando. Perché ammesso che tu riesca a far valere i tuoi diritti, passa troppo tempo prima di essere risarcito. Allora servono riforme più incisive, che limitino alla radice certe storture".

Quali?

"Due su tutte. La prima potrebbe prevedere una sorta di deposito cauzionale. Ovvero, se in estate una società fa accordi coi calciatori arrivando a programmare una determinata cifra come spesa per il monte ingaggi, dovrebbe essere obbligata a versare in un fondo Figc il 50% di tutte le mensilità dovute fino alla riapertura del mercato di dicembre. Tu, società, prevedi di spendere 500mila euro stagionali per gli ingaggi? La metà la depositi come garanzia verso la fine della campagna acquisti. E ovviamente in chiusura di mercato di riparazione garantisci l'altra metà. Oppure bisognerebbe fornire l'opportunità a un giocatore di svincolarsi dopo due mesi di rimborsi non retribuiti. Non mi paghi i primi due stipendi? Al terzo mese, se voglio, mi svincolo. E posso decidere di andare altrove, rischiando in prima persona sul mio futuro e sul mio percorso professionale, senza sottostare più a legami e ricatti di alcun tipo. Inoltre non può più essere considerato normale garantire l'iscrizione a chi non ha onorato il pagamento dei rimborsi della stagione precedente. E' una assurdità. Magari un calciatore vince una vertenza, forse recupera qualcosa l'anno successivo e, nel frattempo, la stessa società è inadempiente nei confronti dei tesserati sotto contratto. Mi sembra che attualmente tutto il quadro normativo sia troppo sbilanciato a favore dei club. Per questo va profondamente cambiato".   

Qualcosa tuttavia si muove nel mondo degli addetti ai lavori. Da qualche settimana, infatti, è nata la piattaforma "Tutele e diritti dei calciatori dilettanti", un gruppo trasversale che si propone di sensibilizzare l'opinione pubblica su queste tematiche.  

"Intanto vorrei rimarcare che avere un endorsement da parte di una persona come lui è solo un motivo di onore e di orgoglio per noi. Se in questi anni ci fosse stato uno come il mister a lottare nei ruoli che contano, oggi saremmo in una situazione migliore per tutti noi. Qualcun altro non lo ha fatto. Faccio i complimenti a lui, ai suoi collaboratori e a tutti quelli che li stanno supportando con grande spirito di iniziativa. Mobilitazioni di questo tipo sono sempre utili, ci aiutano, fanno in modo che si squarcino i troppi silenzi che ancora inquinano questo mondo. Sono troppo pochi quelli che parlano delle nostre problematiche, sia a livello mediatico sia nelle alte sfere del calcio. Perché? Eppure sfido chiunque a chiamarci dilettanti, quando ci alleniamo tutti i giorni e sacrifichiamo tempo e - a volte - affetti per questo che è un lavoro sotto tutti gli aspetti, impegnativo e competitivo esattamente come tra i professionisti. Siamo anche noi persone in carne ed ossa, con famiglie. Si parla continuamente di promozioni e retrocessioni, riforme dei campionati, ricorsi. Prima si parlava di annullamenti e sempre di ricorsi. Ma della risoluzione del problema relativo ai nostri stipendi, chi ne ha parlato? Nessuno. Sul dovere dei club di provare almeno a venirci incontro relativamente all'ultimo trimestre, chi ha speso qualche parola? Pochi. Ci si trincera dietro il termine "dilettanti" per non guardare in faccia alla realtà, che è anche quella dei tanti presidenti che, per megalomania, superficialità o interessi personali, promettono ciò che non possono mantenere alterando tutto il sistema, che in questo modo perde si serietà e di credibilità. Allora ci dicano cosa dobbiamo fare del nostro futuro e ce ne faremo una ragione. Siamo pagati per svolgere un'attività agonistica o dobbiamo andare a lavorare? Ce lo dicano".

Insomma, le battaglie da fare sono ancora tante.

"Certamente. A partire dalla riduzione degli under in serie D. Molti ragazzi sono funzionali per il contingente, ma non hanno potenzialità e vengono solo sfruttati a mani basse. Quanti di loro riescono ad arrivare tra i professionisti non addirittura in serie A? Direi ben pochi. Io ho giocato con Manuel Lazzari al Delta Porto Tolle ed ero già convinto che avrebbe sfondato. Si vedeva che era forte. Quando sei giovane, devi avere fame e voglia di arrivare. Devi avere rabbia e determinazione. E non tutti ce l'hanno. E non tutti rispondono ad una selezione accurata, bensì ad altre logiche. Al Chioggia quasi vent'anni fa giocavo titolare in coppia con Ballarin, al centro della difesa. Entrambi da under. Occupavamo i ruoli più delicati. Evidentemente erano premiati i meriti. E poi si dovrebbe parlare del vincolo sportivo, che a mio avviso costituisce sempre una tagliola per i giovani fino a 25 anni. E tante volte è solo un'arma di ricatto in mano a troppi club e dirigenti senza scrupoli. A 37 anni non so per quanto tempo ancora potrò giocare. Ma questa è una battaglia doverosa, giusta, perché in ballo c'è il futuro del mondo dilettantistico e di tanti ragazzi che affidano i loro sogni a questo sport. E' per loro che dobbiamo batterci. Nessuno può restare chiuso vigliaccamente nel proprio orticello".

Una carriera quasi ventennale in D e, due anni fa, anche la soddisfazione di un campionato vinto con l'Albissola. Qual è il tuo bilancio finora?

"Assolutamente positivo. Non ho mai vissuto particolari problemi, fino a Savona. Ecco perché conosco questo mondo e so di poter portare il mio contributo e la mia esperienza ai fini di qualche miglioramento. Ne ho viste tante. E so anche che di esempi virtuosi ce ne sono molti. Ho militato col Delta Porto Tolle che è una società di assoluto livello, che non fa mancare nulla ai propri giocatori. Mi fa anche piacere che il Pordenone abbia dato corpo al proprio progetto, e ora sta dove merita di stare. A Sorrento ci sono stati degli intoppi societari che non ho vissuto fino in fondo perché a dicembre andai via, ma ho un ricordo bellissimo della città oltre che del mio rapporto con mister Sosa, una persona eccezionale. E' un posto ideale per fare calcio e del resto i risultati odierni dimostrano che con un progetto serio si possono fare cose egregie. Gli esempi virtuosi in D ci sono, persino superiori a tante realtà professionistiche. E sono questi esempi che vanno premiati e incentivati. Per farli emergere è necessario che si taglino i troppi rami secchi che ancora oggi alterano l'equilibrio della serie C".