A sessant'anni compiuti, Ezio Capuano non ha perso nulla della sua verve caratteristica né dell'entusiasmo che lo ha sempre contraddistinto. Il tecnico salernitano, attualmente alla guida del Giugliano, ha ripercorso in un'ampia conversazione con "Il Mattino" i momenti salienti della sua lunga carriera, non risparmiando riflessioni amare sull'esperienza trapanese e ribadendo con forza la propria filosofia di vita e di calcio.
La conversazione prende avvio da una riflessione sul suo approccio al gioco, che Capuano definisce attraverso un'inaspettata citazione letteraria. "Il mio calcio è come 'Il sabato del villaggio' di Leopardi", afferma, spiegando poi il parallelo: "Non esiste la gioia ma l'attesa della gioia. Quando si materializza finisce lì. Se vai in fondo è l'attesa che ti fa vivere la gioia". Una metafora che rivela come per l'allenatore campano il percorso sia più importante della meta, l'aspirazione più gratificante del risultato stesso.
Questo atteggiamento filosofico si traduce in una concezione quasi mistica del ruolo di allenatore. "Il calcio è passione unito al sentimento. Non è un lavoro come tanti. Il mestiere di allenatore è come quello del prete: devi avere la vocazione e l'entusiasmo da trasmettere alla squadra e alla città. Quando manca devi smettere perché diventi piatto. E io non voglio diventarlo mai", dichiara con convinzione. Una visione che lascia intendere come per Capuano non si tratti semplicemente di una professione, ma di una vera e propria missione.
Proprio sulla questione dell'età e di un eventuale ritiro, il tecnico è categorico: "Smetto quando voglio io. Non quando lo vorrà qualcuno al mio posto". Una dichiarazione che è anche una stoccata neanche troppo velata verso chi in passato ha deciso per lui. "Non sembra: lo è", ammette candidamente quando gli viene fatto notare il tono polemico delle sue parole.
Il riferimento è chiaramente all'esperienza vissuta a Trapani nella scorsa stagione, conclusasi con un licenziamento che ha lasciato strascichi profondi. Capuano non usa mezzi termini nel descrivere quanto accaduto: "Non auguro a nessun mio collega quello che è successo a me. Ho schifato questo mondo ma non potevo darla vinta a dei vigliacchi 'mocciosi' prestati al calcio. Non posso definirli calciatori né uomini".
La vicenda riguarda un esonero avvenuto su richiesta dei giocatori, un episodio che l'allenatore definisce senza precedenti nel mondo del calcio. "Hanno firmato un pezzo di carta sotto dettatura. Lo dice il collegio arbitrale che ha rigettato l'infinità che ho subito", spiega, riferendosi evidentemente alla sentenza che gli ha dato ragione. Il caso è ancora più particolare perché si è trattato di un licenziamento per giusta causa, una formula raramente applicata agli allenatori. "Io, esonerato per giusta causa: una cosa che nel calcio non si era mai sentita prima. Ho portato questo nome con dignità per 36 anni di carriera e non mi fermo certo adesso", sottolinea con orgoglio.
Per dieci mesi Capuano è rimasto fermo, rifiutando qualsiasi proposta in attesa della pronuncia del collegio arbitrale. "Non avrei accettato alcuna squadra prima della sentenza. E per 10 mesi sono stato zitto", racconta. Un silenzio che ora ha rotto con decisione, trovando nel Giugliano l'occasione per ripartire.
L'approdo nella squadra campana ha rappresentato per lui una rinascita professionale ed emotiva. "Sono arrivato qui e mi è tornata la voglia grazie a uno spogliatoio di uomini. Il mio percorso è fatto di passione e adrenalina. Mi sento ancora all'inizio e non al crepuscolo. Posso trasmettere le mie idee e ho la stessa voglia del primo giorno", afferma con rinnovato entusiasmo.
Le origini di questa passione affondano nelle strade di Salerno, dove il giovane Ezio cresceva con il sogno del calcio. "Sono di Salerno e da ragazzino giocavo nel Vietri Raito. Con le 120 lire che mi davano per la filovia da Salerno a Vietri io compravo le scarpe nuove. Solo chi ha vissuto la grande sofferenza può conoscere la grande gioia. Studiavo al liceo classico e ho dato anche qualche esame di giurisprudenza, ma mi piaceva giocare a calcio", ricorda.
In famiglia la scelta calcistica non era vista di buon occhio. "Non bene. Infatti dicevo che andavo a studiare da un amico, ma in realtà lanciavo la cartella dalla finestra e scappavo agli allenamenti. Mio padre lo sapeva: un po' si arrabbiava, ma poi lo vedevo sugli spalti di nascosto che veniva a seguire le mie partite", racconta con un sorriso che traspare dalle parole.
Il passaggio dalla carriera da giocatore a quella da allenatore fu dettato dalle circostanze. "Ho avuto un brutto incidente. Mi sono ritrovato in ospedale con il gomito in trazione. Non ho più ripreso a giocare e grazie a Silvano Bini che mi portò a Empoli ho iniziato la carriera da allenatore", spiega Capuano, riconoscendo in quell'evento traumatico l'inizio di una nuova vita professionale.
Nel corso degli anni, la sua carriera si è sviluppata prevalentemente nel meridione d'Italia, una scelta tutt'altro che casuale. "Perché la passione è qui. Altrove è impossibile trovarla", afferma con convinzione, rivendicando il legame speciale tra il Sud e il calcio vissuto con particolare intensità emotiva.
Nonostante non abbia mai coltivato una presenza social e abbia iniziato a utilizzare WhatsApp solo in tempi recenti, Capuano è diventato negli anni una figura mediatica, protagonista di numerosi video virali che hanno contribuito a costruire la sua immagine pubblica. "Ed è un paradosso visto che non ho i social e ho iniziato a usare Whatsapp solo da qualche anno. L'aspetto mediatico mi ha dato ma mi ha tolto altrettanto. Ha sminuito il valore del tecnico", osserva con una punta di rammarico.
Il tecnico tiene però a rivendicare i propri meriti sul piano strettamente professionale, oltre l'immagine folkloristica che spesso lo accompagna. "Nessuno ha lanciato e valorizzato più giocatori di me. Chiedete ai presidenti quante plusvalenze ho fatto fare loro negli anni", sottolinea con orgoglio.
Sulla sua natura emotiva e sui suoi celebri sfoghi, Capuano è sincero: "Dopo una partita dovrei stare in un frigorifero per 4 o 5 ore. Difficile poterlo spiegare. L'allenatore è un essere umano. Forte e debole allo stesso tempo. Per questo capisco Conte e le sue ultime parole. È un grande allenatore. Così come grandissimo è Allegri, un amico dai tempi del Pescara di Galeone".
Tra i rimpianti della carriera, l'allenatore annovera un ritorno che si è rivelato problematico. "Poche, ma certamente ho sbagliato a tornare a Potenza, dove sapevo che con il presidente Caiata non sarebbe andata bene. Ma ero tifoso del Potenza e ho fatto prevalere il cuore", ammette.
Resta ancora aperta la ferita legata a un episodio che ha violato la sacralità dello spogliatoio. Alla domanda se abbia perdonato il giocatore che all'Arezzo diffuse la registrazione audio di uno dei suoi sfoghi, la risposta è netta: "Quello che accade in uno spogliatoio dovrebbe essere sacro. Chi lo porta fuori è un vigliacco".
Capuano conclude l'intervista con una massima che ben sintetizza la sua filosofia: "Il voler vincere è un desiderio di tutti, sapersi preparare alla vittoria è un privilegio di pochi". Parole che riassumono la visione di un allenatore che, a sessant'anni, continua a considerare il calcio non come un semplice mestiere ma come una vocazione da vivere con la stessa intensità del primo giorno, incurante delle polemiche e determinato a proseguire finché la passione non verrà meno.
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