La Corte Federale d'Appello a Sezioni Unite ha deciso di prosciogliere completamente la società Calcio Foggia 1920 S.r.l. e il suo ex amministratore unico Michele Bitetto dalle sanzioni inflitte in primo grado per il mancato versamento di contributi e stipendi relativi al mese di febbraio 2025. Una decisione storica che per la prima volta nel calcio professionistico italiano riconosce la forza maggiore derivante da infiltrazioni mafiose come causa escludente della responsabilità disciplinare.

Il caso e le sanzioni di primo grado

La vicenda aveva origine dal deferimento del 4 maggio 2025 da parte della Procura Federale, che aveva contestato a Bitetto e alla società rossonera il mancato pagamento entro il 16 aprile 2025 di ritenute IRPEF, contributi INPS, versamenti al Fondo di fine carriera e stipendi netti relativi alla mensilità di febbraio 2025. Violazioni che configuravano l'inosservanza degli articoli 4 comma 1 e 33 comma 4 lettera f del Codice di Giustizia Sportiva.

Il Tribunale Federale Nazionale, pur riconoscendo la gravità del contesto in cui operava la società pugliese, aveva inflitto sei mesi di inibizione a Bitetto e tre punti di penalizzazione in classifica al Foggia, da scontare nella stagione corrente. Una decisione che aveva tenuto conto delle circostanze eccezionali ma non aveva riconosciuto la sussistenza della causa di forza maggiore.

L'amministrazione giudiziaria e le infiltrazioni mafiose

Il quadro che ha portato al ribaltamento della sentenza emerge chiaramente dal provvedimento dell'8 maggio 2025 del Tribunale di Bari, che aveva disposto l'amministrazione giudiziaria della società ai sensi dell'articolo 34 del Decreto Legislativo 159/2011, il cosiddetto Codice antimafia. Una misura di prevenzione patrimoniale richiesta dalla Procura della Repubblica di Bari, dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e dalla Questura di Foggia già dal 4 marzo 2025.

La Corte Federale ha sottolineato come non esistessero precedenti di applicazione di misure interdittive antimafia a società sportive del calcio professionistico, rendendo necessario un approccio sistematico innovativo. Cruciale è stata la distinzione tra l'amministrazione giudiziaria dell'articolo 34 e il controllo giudiziario dell'articolo 34 bis del Codice antimafia: il primo intervento, più penetrante, è riservato ai casi di infiltrazioni mafiose caratterizzate da "stabilità, radicalizzazione e permanenza", mentre il secondo si applica a situazioni di carattere occasionale ed episodico.

Il riconoscimento della forza maggiore

Le Sezioni Unite hanno riconosciuto che le condotte mafiose avevano raggiunto una "capacità soverchiante, stabilizzate e radicalizzate" tale da "annullare e comunque assorbire la libertà di autodeterminazione" del presidente Nicola Canonico e della società. Il condizionamento ambientale, hanno specificato i giudici federali, "non è stato frutto di suggestioni delle vittime, né può essere degradato a semplice elemento idoneo atto a giustificare il mancato adempimento", ma si era rivelato "molto pervasivo, penetrante, crescente fino ad asfissiare, nel mese di aprile 2025, la libertà di autodeterminazione del presidente e della squadra di calcio".

L'obiettivo finale del clan criminale era quello di "costringere il Canonico a disfarsi del controllo della società in favore di soggetti gravitanti nel complesso aggregato mafioso, dopo aver svilito il valore delle azioni". Le pressioni erano diventate talmente insostenibili da portare alle dimissioni del presidente proprio in coincidenza con la scadenza degli adempimenti federali del 16 aprile 2025, appena 20 giorni prima dell'intervento dell'autorità giudiziaria.

Le vittime e la collaborazione con la giustizia

Il presidente Canonico e la sua famiglia erano state vittime dirette delle attività criminose, con il dirigente che aveva anche "pubblicamente denunciato le condotte malavitose in suo danno" e aveva "collaborato con gli organi della Giustizia ordinaria per fare emergere le attività delittuose", come riportato nel provvedimento del Tribunale di Bari.

La Corte ha evidenziato come la holding del presidente disponesse "delle risorse economiche per il pagamento degli emolumenti e tributi oggetto di deferimento", sottolineando che l'inadempimento non era dovuto a difficoltà finanziarie ma esclusivamente alle pressioni criminali subite.

La posizione della Procura Federale

Significativo è stato il fatto che la stessa Procura Federale della FIGC, alla luce degli elementi emersi, aveva "concluso per il proscioglimento dei deferiti sia in primo grado sia nel giudizio di reclamo, con motivazioni a sostegno della sussistenza della causa di forza maggiore". Anche l'amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Bari, il Professor Avvocato Vincenzo Chionna, era intervenuto nell'udienza dell'8 settembre 2025 "a sostegno della linea difensiva e delle richieste dei reclamanti, confermando di aver registrato l'esistenza di condizionamenti di origine mafiosa nel periodo antecedente l'emissione del provvedimento del Tribunale di Bari dell'8.5.2025".

I principi giuridici applicati

La decisione delle Sezioni Unite si è basata sui consolidati principi in materia di forza maggiore nella giustizia sportiva. Come ribadito dalla stessa Corte: "Forza maggiore e caso fortuito sono pacificamente qualificati come circostanze oggettive ed imprevedibili o tali da essere, ancorché prevedibili, non evitabili poiché indipendenti dalla volontà del soggetto agente e, così, al di fuori della sfera di controllo di quest'ultimo e per esso invincibili".

Nel caso specifico, l'inadempimento è stato riconosciuto come "determinato da causa non imputabile", sussistendo quei fattori che "da un canto, non sono riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di poter adempiere e, d'altro canto, sono tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo", secondo quanto stabilito dalla Cassazione Civile nella sentenza n. 15712 del 2002.

Un precedente storico

La decisione rappresenta un precedente di portata storica nel panorama della giustizia sportiva italiana. Per la prima volta, un organismo federale ha riconosciuto che le infiltrazioni mafiose possono configurare una causa di forza maggiore tale da escludere completamente la responsabilità disciplinare di una società sportiva e dei suoi dirigenti.

L'ordinamento sportivo, hanno sottolineato le Sezioni Unite, "pur nella sua autonomia, non può infatti tollerare e giustificare la intromissione di organizzazioni mafiose che condizionano ab externo le attività delle società sportive con condotte criminali volte ad acquisire il possesso forzoso della squadra di calcio, attraverso la commissione di una serie di fatti reato e con intimidazioni mafiose nei confronti di tesserati e di dirigenti della società".

La sentenza ha quindi accolto integralmente i reclami presentati da Bitetto e dalla società, riformando completamente la decisione di primo grado e disponendo il proscioglimento da ogni addebito. Una decisione che, pur nelle drammatiche circostanze che l'hanno determinata, segna un importante riconoscimento della specificità e della gravità delle situazioni in cui il crimine organizzato tenta di infiltrarsi nel mondo dello sport professionistico.

Sezione: Serie D / Data: Mer 17 settembre 2025 alle 22:15
Autore: Antonio Sala
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