Donne e calcio, la polemica continua. Delogu: "Mihajlovic? Il suo pensiero vale zero"

21.04.2016 22:30 di  Ermanno Marino   vedi letture
Donne e calcio, la polemica continua. Delogu: "Mihajlovic? Il suo pensiero vale zero"

Le polemiche di questi giorni, hanno posto l'attenzione  per l'ennesima volta sulla differenza di considerazione dell'opinione degli addetti ai lavori e dei tifosi, fra il calcio maschile e quello femminile. Abbiamo contattato mister Pietro Delogu, per sapere la suo pensiero sullo stato di salute del calcio femminile.

Mister, come si pone lei in merito alle polemiche di questi giorni?
"Probabilmente, pochi allenatori ed addetti ai lavori calciofili maschili, hanno letto il libro "Giocare con le tette"; fra questi credo non ci sia Sinisa Mihajlovic. Non osavo pensare che un allenatore, un uomo di calcio, potesse dire ciò che gli organi di stampa hanno riportato, credevo fosse stato travisato, e/o che lui si fosse espresso male. Forse la sua intenzione iniziale era quella di zittire il pensiero della donna sul fatto specifico del marito calciatore, ma ha dimostrato che il suo pensiero va oltre il fatto specifico, ciò riportato nell'intervista, non gli dà alibi. Il suo pensiero, per me vale zero, preferisco ignorarlo, ed ignorare tutti i pensieri poco intelligenti. Preferirei parlare di calcio, senza dare troppa importanza alle polemiche di chi cerca di denigrarlo".

Qual è lo stato di salute attuale del sistema?
"Non dare la giusta importanza, all'esistenza del calcio femminile, credo sia un pensiero errato, sarebbe come pensare che lo sport sia soltanto per gli umani maschili, non capisco come si possa pensare una cosa del genere. Sarebbe come ipotizzare che non possano esistere le discipline al femminile di basket, scherma, pallavolo, ciclismo, tennis, atletica, etc.
Il calcio essendo il primo sport nazionale, non può essere anche donna? Ricordo ai più disattenti, e sono tanti, che ad oggi il calcio femminile italiano è nelle medesime condizione di quello maschile, il rapporto economico, a livello di rapporto con le squadre paritarie, partecipanti ai campionati degli altri stati europei; ovvero, in Italia, si ha una capacità economica e d'investimento, pari a un decimo rispetto alle squadre europee. Questo gap, nel calcio maschile, è ridotto ad un terzo, grazie ai diritti televisivi che la lega calcio riesce a distribuire alle squadre che partecipano ai campionati europei, nel calcio femminile ciò non avviene, quindi la differenza rimane quella iniziale, ma dopo questa discriminazione economica del CONI e FIGC, non credo se ne debbano fare altre".

Tutti pensano di conoscere la malattia, ma esiste un antidopo o una cura giusta?
"Non vi è la ricetta uguale per tutti, ma credo tutte le componenti che gravitano attorno a questo sport, possano fare molto più. Innanzitutto il CONI, dovrebbe riconoscere lo status di calciatrici professioniste, almeno alle tesserate delle squadre militanti in serie A e serie B, invece ad oggi il calcio femminile, è equiparato in FIGC alla lega nazionale dilettanti (LND), perchè considera "calcio minore" quello delle donne. Il CONI, che ricordo, è la vera mamma di tutto lo sport, si comporta come un genitore che fa figli e figliastri, e predilige il figlio maschio da quella femmina. Io sono stato tifoso della "Torres femminile", gloriosa squadra di Sassari, pluriscudettata, e fallita lo scorso anno, ricordo che in quegli anni era gestita bene, le condizioni della federazione erano le medesime di adesso, ma la qualità delle calciatrici era più forte di tutto il resto, era una squadra all'attenzione dei media del periodo, ma serve altro per aiutare il movimento. Ciò accade anche di recente, altre società italiche come Verona, Tavagnacco, Mozzanica, Brescia, ecc, hanno avuto modo di fare e stanno facendo campionati importanti, ma godono di poca considerazione mediatica, ma quando il prodotto sportivo, non crea interesse economico, non attira le giuste attenzioni, ed ingigantisce l'ignoranza degli addetti ai lavori (generando tanti Mihajlovic)".

Dove si può migliorare?
"Sicuramente in tante piccole cose, anche se non ho mai avuto il piacere di allenare una squadra di calcio femminile, ho sempre seguito, e seguo tutto il calcio. Credo che alcune regole valgano a prescindere dal genere umano che vai ad allenare, a livello individuale e di squadra; e penso che la sommatoria di tante piccole cose fa sempre la differenza, in positivo o in negativo. Se si riuscisse a migliorare gli aspetti che dicevo prima, senz'altro va aggiunto un buon lavoro sul campo, ad oggi non sempre il settore giovanile delle società (anche di A femminile) è ben organizzato (per mancanza di risorse). Frequentemente, viene a mancare un lavoro di base, che può aiutare a far crescere talenti, ragazze che non sarebbero obbligate a trovarsi in prima squadra a 16/17 anni saltando un percorso formativo e di crescita calcistica sotto tutti gli aspetti, psico-fisici, tattici, tecnici, atletici. Sarebbe più semplice anche per chi allena in prima squadra, lavorare su chi ha le nozione che si dovrebbero imparare giocando con i pari età non dopo i 13/14/15 anni. Poi ci sono altri aspetti, ogni mister ha i propri metodi, e da prorità ad alcune cose per sopperire ad altre".

Siamo curiosi, lei cosa farebbe?
"Personalmente, lavorerei per migliorare i valori fondamentali di crescita, cercando di diminuire i difetti ed esaltandone i pregi. Se incontrassi una squadra tedesca, francese o svedese, difficilmente potrei vincere affrontandole sotto l'aspetto fisico, aspetto che spesso crea l'individualità nell'avversaria di turno. Dovrei cercare di vincere la partita sotto l'aspetto tecnico, curando maggiormente l'organizzazione ed il lavoro di reparto, fra i reparti, di squadra, devo essere bravo a far si che in quella gara a risaltare sia l'aspetto tattico, che deve fare la differenza, ed essere la parte predominante della gara.
Normale che per fare ciò, occorre lavorare tanto sul campo, quindi occorre tempo, ed il tempo significa professionalità, ma nel calcio femminile di oggi non avviene, spesso il 90 % della calciatrici lavora o studia tutti i giorni, gli allenamenti possono svolgersi solo alla sera, dopo il lavoro; per potersi allenare all'orario della gara, tutti i giorni, servono quelle risorse, che solo il CONI può, dando lo status di calciatrice professionista, apportando le modifiche opportune, creando le giuste risorse per il movimento calcistico femminile, ad oggi altamente discriminato".

Ci sarò qualche modello valido da seguire?
"In Italia, attualmente, più di uno, sel suo piccolo, ritengo che il Brescia lavori benissimo, cura il settore giovanile in modo maniacale e professionale, è all'apice della serie A da qualche anno, molto attiva come gestione sportiva e manageriale, diciamo che è una delle società italiane "meno povera", ma comunque anni luce distante dalle squadre europee affrontate in champions. Ottimi i risultati sportivi ottenuti, seppur da soli 7/8 anni milita nella massima serie, ha gia vinto uno scudetto, due coppe italia, due supercoppe italiane. Da due anni partecipa alla champions femminile, quest'anno è uscita ai quarti di finale, contro una squadra tedesca, (che ha 5 volte il budget di spesa). Quest'anno è stata la squadra di calcio italiana, ad ottere il riconoscimento sportivo migliore, assieme alla Juventus, ma pochi hanno parlato del A.C.F. Brescia Femminile, lo facciamo noi oggi, e ti ringrazio per aver scelto me per parlare di ciò. Potrebbe essere un modello da seguire per tutto il movimento calcistico femminile, ed anche per molte società di calcio maschile, che spesso sono alla deriva gestionale".