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Trofo: "Col Fabriano ci siamo subito piaciuti. Su Nardò ho un rammarico..."

19.09.2020 11:50 di  Stefano Sica   vedi letture
ESCLUSIVA NC - Trofo: "Col Fabriano ci siamo subito piaciuti. Su Nardò ho un rammarico..."

Le sue caratteristiche sono quelle classiche di un guerriero di centrocampo. Generosità, interdizione incessante e un'intelligenza tattica che gli consente di correre bene e di stare sempre al posto giusto nel momento giusto. Chiusa la parentesi Nardò, la sua vita ricomincia stavolta lontano da casa, nelle Marche. Ormai perfezionato l'accordo col Fabriano Cerreto: Emanuele Trofo, classe '95, torna quindi a masticare il pane duro dell'Eccellenza dopo tantissimi anni di D. Molti indimenticabili, come quelli che gli hanno regalato il doppio salto dalla massima serie dilettantistica alla Lega Pro con Akragas e Siracusa, senza dimenticare un breve intermezzo alla Sambenedettese. Particolarmente positiva anche l'annata con l'Aversa Normanna del tecnico Mauro Chianese, per il quale era un perno quasi irrinunciabile: al termine di quel campionato, furono 17 le presenze accumulate a partire da dicembre. "E' stato tutto molto veloce - rivela il mediano leccese ai nostri microfoni -. Mi hanno voluto fortemente e questo ha fatto in modo che accettassi senza esitazioni. Abbiamo chiuso praticamente in 24 ore. Ringrazio il tecnico Pazzaglia per avermi voluto e, ovviamente, il club per aver creduto in me. Ho avuto un primo contatto anche col Direttore e le sensazioni sono buone: il Fabriano Cerreto mi sembra una società seria, organizzata e ambiziosa. La squadra è abbastanza giovane e la concorrenza di alcuni club molto attrezzati sarà dura, ma c'è comunque voglia di far bene ed essere protagonisti nel prossimo campionato di Eccellenza". 

Come stai fisicamente?

"Bene. Prima di venire qui già mi stavo allenando con una squadra dilettantistica vicino casa. Non sono mai rimasto fermo". 

Riparti da Fabriano ma quanto grande è il rammarico per la mancata riconferma a Nardò?

"Sinceramente mi aspettavo di restare, anche perché la società mi aveva dato la parola in tal senso. Poi non ho avuto più notizie. Questo mi è dispiaciuto tantissimo e non lo nego: pur essendo arrivato solo a gennaio, mi sono trovato bene con tutti, con l'ambiente e con la società stessa. Sentivo di poter dare ancora tanto a questi colori, e anche la piazza, per blasone e passione, mi sembrava ritagliata su misura per il mio modo di essere. Insomma, dentro di me avevo maturato già un legame particolare con Nardò. E questo mi avrebbe consentito di dare il massimo per una tifoseria che merita tanto. Ero vicino casa, non potevo chiedere di più. Rispetto la scelta della società, ma non l'ho mai compresa. Non mi è mai stata data una motivazione concreta. Ma il calcio è fatto così e bisogna andare avanti senza mai voltarsi indietro".    

A volte anche il calcio costringe a ricominciare tutto da zero. E Fabriano può essere la giusta trincea da cui intraprendere un nuovo viaggio.  

"Ovviamente sì. A  me dispiace solo che ci sia, a volte, poca meritocrazia. E che non sempre il campo e la professionalità vengano premiati. Io credo di essermi fatto voler bene ovunque sia andato, penso di aver lasciato affetto e stima nei tifosi e in tante persone che mi hanno incontrato. Non solo ad Agrigento o Siracusa, dove pure avevo vinto dei campionati, ma anche in realtà come Aversa, dove approdai grazie all'ottimo rapporto che avevo con mister Chianese. Del resto io sono uno che non si è mai risparmiato, che ha sempre dato tutto per i compagni e le maglie che indossava". 

Appunto, dicevamo: un guerriero

"In effetti sono perlopiù un lottatore, uno che può giocare sia da mezz'ala sia con un mediano vicino. Posso fare anche il play, ma ovviamente con due giocatori tecnici al mio fianco. Anche se, col tempo, ritengo di essermi migliorato anche da un punto di vista strettamente qualitativo. Del resto, sarebbe impensabile ritagliarsi spazio in una squadra ambiziosa se poi diventa difficile coniugare qualità e generosità. Fatto sta che sono uno a cui piace recuperare tanti palloni, spezzare il gioco avversario e far ripartire la squadra. Sono queste le mie caratteristiche principali". 

La remuntada con l'Akragas di Feola, che vi portò in volata in D, resterà storica.

"Noi eravamo un gruppo favoloso innanzitutto a livello umano. Per vincere i campionati non se ne può mai fare a meno. E poi eravamo troppo forti, indiscutibilmente. Si era creata una bella coesione tra noi e i tifosi: i loro festeggiamenti sono stati incredibili e non poteva essere altrimenti visto che la C1 mancava ad Agrigento da ben 30 anni e l'ultima apparizione in C2 era datata 1994. Io porterò per sempre Agrigento nel mio cuore. Quando i tifosi ci chiedevano di sudare la maglia, per noi era un fatto automatico, una missione. Quell'anno non ci limitammo solo a vincere il girone, ma sfornammo anche un bel calcio. E non è un caso che una larga parte di quell'organico si spostò in blocco a Siracusa. Tutto sommato fu un peccato non riconfermare in Lega Pro gli artefici di quella cavalcata, giocatori, mister e direttore. Anche quell'estate ero vicino ad una riconferma, sebbene mi avesse cercato anche l'Andria. Con 4-5 innesti mirati, e Feola in panchina, l'Akragas avrebbe potuto fare anche una stagione importante".

Ti sei rifatto subito calando il bis a Siracusa. Quali sono le affinità e le differenze tra Feola e Sottil?

"Va detto che sono grandi motivatori e uomini dotati di un carisma innato. Entrambi sanno trasmettere gli stimoli giusti alla squadra. Qualche differenza sta nelle idee tattiche. Feola giocava praticamente con quattro attaccanti e due mediani, Sottil alternava il 4-3-3 al 4-2-3-1. Mi dispiace solo aver avuto poco spazio a Siracusa. Sottil puntava su altri elementi, forse anche per le caratteristiche che cercava. Sono sincero: col senno del poi, sarei rimasto a San Benedetto. Grande piazza, squadra forte. Lì giocavo con continuità, stavo bene in tutti i sensi. Poi Davide Baiocco, con cui avevamo vinto ad Agrigento, mi spinse a scegliere Siracusa. A volte ci si è messa anche la cattiva sorte".

Quando?

"Con la Frattese, per esempio. Stavo giocando bene, avevo fatto già due gol, ero in un buon momento. Poi mi ruppi il ginocchio e fui costretto ad operarmi. Nella vita mi sono sempre rialzato, ho sempre reagito alle avversità. Infatti, dopo la parentesi ad Ercolano, alla Cittanovese ho trovato riscatto e nuovi stimoli. Ho fatto davvero bene lì e la vittoria col Bari resterà memorabile. Eppure, sono rimasto nuovamente svincolato per qualche mese, senza un'apparente ragione visto che venivo da una stagione molto positiva".   

Venendo all'attualità, quanto c'è ancora da lottare sul terreno dei diritti dei calciatori dilettanti?

"Intanto va detto che l'AIC ci ha dato una grossa mano. Abbiamo preso il bonus per i collaboratori sportivi e, in definitiva, siamo stati trattati come lavoratori veri e propri, recuperando anche il mese di marzo. Del resto la D non è una categoria dilettantistica e lo sappiamo bene. Lo so io in quanto ci ho militato oltre otto anni. Non si è dilettanti se si lavora sei giorni su sette, partite e doppie sedute comprese, senza contare i ritiri. Pur volendo, non si potrebbe proprio svolgere un altro lavoro, per non parlare dei calciatori fuori sede. Poi è ovvio che si può fare di più, specie per quanto riguarda certe garanzie contrattuali che, se vengono meno, configurano veri e propri ricatti. Noi viviamo di calcio. Un giorno smetteremo, ma fino a quel giorno il calcio resterà il nostro lavoro principale. E come tale, va tutelato pienamente. Per noi e per le nostre famiglie. E anche in Eccellenza c'è un buco nero che va eliminato".