Lo sguardo semichiuso di David Neres ha alimentato nel tempo interpretazioni diverse, talvolta fantasiose. C'è chi lo ha letto come segno di stanchezza, chi come atteggiamento distaccato o persino come scelta estetica deliberata. Eppure la realtà è ben diversa e affonda le radici in una condizione medica precisa: la ptosi palpebrale congenita, un tratto somatico con cui l'esterno offensivo del Napoli convive sin dalla nascita.
La ptosi, dal punto di vista clinico, è determinata da un funzionamento incompleto del muscolo elevatore della palpebra superiore. Questa particolarità anatomica provoca l'abbassamento parziale della palpebra stessa, conferendo allo sguardo un aspetto caratteristico che, nel caso del calciatore brasiliano, risulta immediatamente riconoscibile. Una peculiarità fisica evidente, che però non comporta alcuna conseguenza sulla capacità visiva né sulla prestazione atletica.
Quando la palpebra abbassata non arriva a coprire la pupilla – situazione che corrisponde esattamente al caso di Neres – la funzione visiva rimane del tutto preservata. Non esistono limitazioni funzionali, né controindicazioni rispetto alla pratica sportiva ad alti livelli. Il corpo, nel corso del tempo, adotta spontaneamente piccoli aggiustamenti posturali: una lieve inclinazione del capo, il mento mantenuto leggermente più alto. Si tratta di accorgimenti automatici e inconsapevoli che permettono di compensare la configurazione anatomica senza alcuna ripercussione sulla qualità della visione.
La domanda che emerge con maggiore frequenza, sia tra tifosi che osservatori, riguarda proprio l'efficacia della vista del giocatore: può davvero vedere bene in campo? La risposta è netta e priva di ambiguità. Neres percepisce gli spazi, intercetta i movimenti degli avversari, legge le traiettorie del pallone con la stessa precisione di qualsiasi altro professionista. La ptosi palpebrale, nella forma in cui si manifesta nel suo caso, non rappresenta un ostacolo alla performance calcistica.
D'altronde, il rendimento dell'esterno brasiliano in questa stagione con la maglia del Napoli parla da sé. Protagonista di un inizio di campionato incisivo, Neres è stato schierato anche nell'ultima vittoria contro la Cremonese, confermando continuità e affidabilità nelle scelte tattiche dell'allenatore. Le sue accelerazioni, i dribbling, la capacità di creare superiorità numerica in zona offensiva dimostrano che la condizione congenita non intacca minimamente la lettura del gioco né i tempi di reazione.
Il caso di David Neres non rappresenta nemmeno un'eccezione nel panorama calcistico contemporaneo. Anche Dean Huijsen, giovane difensore transitato per Roma e Juventus e attualmente al Real Madrid, presenta la medesima condizione congenita. Un ulteriore riscontro del fatto che la ptosi palpebrale, quando non interferisce con la pupilla, rimane una semplice caratteristica fisica individuale, priva di implicazioni tecniche o prestazionali.
Ciò che può apparire come un dettaglio estetico marginale diventa, in realtà, spunto per riflettere su quanto spesso l'apparenza venga interpretata in modo superficiale. Lo sguardo di Neres ha generato supposizioni, attribuzioni di significati simbolici o psicologici, quando invece la spiegazione è di natura esclusivamente anatomica. Una conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che nel calcio moderno – così come in ogni altro ambito – è essenziale distinguere tra percezione e realtà.
La ptosi palpebrale congenita non compromette la carriera di un atleta professionista, non ne limita le potenzialità né ne condiziona l'espressione tecnica. Neres continua a giocare, a segnare, a esultare con lo stesso sguardo che lo accompagna da sempre. Uno sguardo che, lungi dall'essere un limite, è semplicemente parte della sua identità. E che, evidentemente, non gli impedisce di vedere tutto ciò che serve per fare la differenza in campo.
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