Chi parte dal basso spesso ha una marcia in più, vale nella vita, negli sport e anche nel calcio. Non è una regola aurea ma chi compie un percorso tortuoso per affermarsi ha buone possibilità di sviluppare una consapevolezza di sé che fa la differenza anche se non raggiunge l’obiettivo prefissato.
Da questo concetto è nata l’idea della Lnd di effettuare delle dirette Instagram con i campioni del calcio che hanno mosso i primi passi nei dilettanti. Un messaggio per tutti i ragazzi che sognano inseguendo un pallone, per le società che li formano, per i genitori, per tutto quel mondo che gioca a calcio lontano dai riflettori.
Massimo Oddo ha risposto alla chiamata della Lnd con entusiasmo raccontando e raccontandosi, proprio lui, esempio di chi ce l’ha fatta partendo dal basso e arrivando fino alla vetta, quell’indimenticabile Mondiale vinto nel 2006. “Tutto ciò che ho ottenuto lo devo alla gavetta – sorride Oddo –, un percorso fondamentale che mi ha portato sulla vetta del mondo, un cammino che ho rivissuto come un film nel momento in cui ho alzato il trofeo. Si può arrivare in alto in tanti modi, io ci sono arrivato partendo dai campi in terra battuta e ne sono orgoglioso”.
Massimo Oddo ha mosso i primi passi come calciatore nella Renato Curi Angolana, società storica abruzzese che ha lanciato tanti giocatori nell’empireo del calcio italiano.
“Ho iniziato nei campetti sotto casa – ricorda con piacere l’ex difensore azzurro – poi ho scoperto la Renato Curi e il suo fantastico settore giovanile. Figura chiave di quel club era il presidente Daniele Ortolano vera e propria anima di una società modello nella formazione dei calciatori. Si cresceva non solo in campo ma soprattutto come persone, se sgarravi, se andavi male a scuola, la partita te la potevi dimenticare. Un club attento all’educazione e al comportamento, una società che curava i particolari insegnandoti a fare bene ogni cosa per prepararti al futuro. Si può essere professionali senza l’etichetta di professionisti, alla Renato Curi lo dimostravano ogni giorno come tante altre società della Lnd. Non è un caso se tanti ragazzi passati da qui hanno spiccato il volo. Queste società ti fanno crescere come persona, t’insegnano a dare il massimo sempre. Questa mentalità me la sono portata con me per tutta la mia vita e la carriera”.
Tra i giocatori protagonisti ad alti livelli si riconosce il marchio di garanzia tra chi ha avuto tutto e subito e chi se l’è guadagnato passo dopo passo?
“Partire dal basso può dare una spinta in più, non è la regola ma sicuramente fa bene al carattere di un giocatore. Per arrivare in alto tutti fanno sacrifici, chi parte dalla base della piramide forse è più consapevole, ha una personalità più forte, ha vissuto il bello del calcio, la parte più genuina, le cose semplici che molti non apprezzano, gli autobus presi per andare agli allenamenti, le camminate sotto la pioggia, le partite sui campi difficili, sono esperienze uniche. Ciò non toglie che tanti miei compagni di squadra hanno fatto percorsi più brevi e sono diventati campioni dentro e fuori dal campo dimostrando una forza mentale e una cattiveria sportiva fuori dal comune”.
Massimo Oddo, ci racconti un aneddoto del suo passato nei dilettanti.
“L’esordio in prima squadra non lo dimenticherò mai, avevo 16 anni. Un sabato ero impegnato con la Juniores in una gara di campionato, giocavo libero. Ci venne a vedere il mister dei grandi, Cetteo Di Mascio, splendido insegnante e formatore di talenti. Nell’intervallo della gara scese negli spogliatoi e disse al mister di non schierarmi nel secondo tempo perché mi avrebbe portato con sé in prima squadra. Il giorno dopo debuttai in Serie D titolare a Benevento, in meno di 24 ore la mia vita calcistica era cambiata”.
Un messaggio per tutti quei giovani della Lnd che sperano di ripercorrere i tuoi passi?
“La testa fa la differenza, non conta in che categoria giochi. Io ho debuttato in A quando avevo 23 anni, tardi rispetto ad altri giocatori ma va bene così, sono la persona che sono per il percorso che ho fatto. In Serie D e in altre categorie della Lnd ci sono tanti ragazzi che hanno i mezzi per arrivare in alto ma spesso si perdono non per questioni tecniche ma perché non riescono a fare quel salto di qualità che parte dalla testa. Guardate che determinazione hanno Giovanni Di Lorenzo, Francesco Caputo e Gianluca Lapadula. Ma ce ne sono tanti altri in A. Hanno fatto tanta gavetta, non si sono mai arresi, sono arrivati con qualche anno di ritardo ma ce l’hanno fatta e in campo si vede chi sono, per determinazione, grinta e consapevolezza nei loro mezzi. Gianluca in particolare l’ho avuto con me a Pescara, un talento cristallino che non riusciva a compiere l’ultimo passo decisivo. A un certo punto nella sua testa è scattato quel click che lo ha completato come uomo, calciatore e professionista”.
Autore: Massimo Poerio
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