Da fenomeno sperimentale a entità riconosciuta e apprezzata, anche fuori dal perimetro regionale. L'Afro Napoli spegne le prime dieci candeline e lo fa negli spazi autogestiti di Mezzocannone Occupato, storico ritrovo dei collettivi studenteschi napoletani. E' cresciuto tanto in questi anni il club di Antonio Gargiulo, che se ieri era una casamatta con finalità puramente aggregative, oggi è una realtà emulata da molti, persino invidiata e sicuramente temuta. Che, se pensa globalmente, agisce localmente con un orizzonte definito, e secondo principi organizzativi che ne hanno elevato la visione lunga e marcato i caratteri in funzione quasi semiprofessionistica. E' un volersi migliorare che vive di fluidità, che non si pone limiti o autocensure. Del resto questo concetto si sostiene anche sulle parole del vice trainer Salvatore Fasano, quando ci racconta che una gara agonistica è fatta di attenzione, di un esercizio di concentrazione prolungato ma necessario, che a volte vive di episodi e, se spesso quell'episodio è negativo, bisogna relegarlo subito nella sua dimensione esclusiva. E ricominciare, per dirla con Gramsci.
Antifascismo e antirazzismo sono due mantra che verranno ripetuti spesso da chi sale sul palco. Chi è parte della famiglia Afro Napoli può farlo con una certa credibilità, perché in città questo club si è assunto l'onere - tra tanti - di fungere da cordone sanitario verso professionisti e gregari di un clima di odio nei confronti dei migranti di ogni origine e provenienza che, al netto delle varie analisi politiche e della ricerca legittima di soluzioni praticabili per un tema di portata epocale, è esploso in tutta la sua disumanità e sembrava a un certo punto irreversibile. Fino a lambire la dignità di chi osasse opporsi ad una narrazione tossica e taroccata. Il coinvolgimento emotivo raggiunge picchi ingenti quando ad introdurre la serata è il vice presidente Francesco Fasano, gemello di Salvatore. I suoi ricordi ripercorrono 10 anni di una storia che vale, che affascina se si pensa da dove si è partiti. Ovvero dalle partitelle all'Italsider di Bagnoli fino alle riunioni presso il primo quartier generale del club, l'Hotel Mignon, passando per il sodalizio - ancora oggi colonna del progetto afropartenopeo - con Insurgencia dopo un match con l'Equipo Popular. E poi gli insulti rivolti al numero uno Adam Touré, un "mangiabanane", durante una sfida in cui giocatori ed entourage dell'Afro iniziarono a sperimentare per la prima volta i veleni del razzismo. "Vincemmo 8-2: per noi il modo migliore di vendicarci fu quello di riempirli di gol", rimarca Fasano, che poi si commuove quando ricorda Valerio Basile "Spalletella", un esponente dei movimenti napoletani scomparso alcuni anni fa e che oggi dà il nome al gruppo dei sostenitori dell'Afro sempre presenti al Vallefuoco. Da squadra che "mangiava patatine e beveva birre in panchina", come racconta il braccio destro e cugino di Gargiulo, a gruppo capace di decidere le sorti di rivali blasonate e di strappare un campionato già vinto alla Frattese nel massimo torneo regionale. Ne ha fatta di strada l'Afro Napoli, eccome. "La cosa più bella che mi sia mai capitata, la cosa che mi ha fatto diventare un uomo migliore. Nonostante i Minniti e i Salvini, siamo sempre andati avanti", chiude Fasano.
Illustrano la loro esperienza anche esponenti del comparto amatoriale della società, dopo che il patron Antonio Gargiulo, introdotto da Vittoria Biancardi, aveva fatto il suo ingresso sul palco. "Siamo nati per caso, dovevamo fare solo campionati amatoriali con alcuni ragazzi del Senegal - le sue parole -. Poi ho riscontrato l'attenzione dei media e delle istituzioni. E ho capito che col calcio avremmo potuto alimentare integrazione ed accoglienza. Vogliamo continuare a sognare, come è scritto nel nostro stemma. C'è stata una crescita costante e di questo ringrazio tutti quelli che ci hanno voluto supportare anno dopo anno. Si è sviluppata una passione contagiosa. Ma ora siamo solo alla partenza, infatti abbiamo intenzione di costruire i prossimi dieci anni. Seguiteci, perché siamo un'oasi sana in una società sempre più egoista, dove crescono odio e discriminazione".
Finalino con la presentazione di staff tecnico (mister Salvatore Ambrosino in testa), squadra e nuove maglie da gioco ufficiali (rossa quella del portiere), dopo un breve intervento dell'ex allenatore Francesco Montanino. Il tutto diretto dalla simpatia e dalla verve innata della giornalista Serena Li Calzi. Tanti volti nuovi per una squadra in cui la colonia argentina ha una sua nutrita rappresentanza: tra questi c'è Franco Padin, ex Moliterno, un attaccante classe '94 che ha già fatto intravedere cose interessanti durante il precampionato. Il suo viso sorridente e pacioso è il simbolo di un gruppo che vuole raggiungere i propri obiettivi senza rinunciare ad una dimensione in cui si pratichino passione e divertimento. Dietro le quinte, uno dei dominus di questo progetto, Pietro Spaccaforno, accoglie il pubblico e vigila affinché l'evento riesca nei minimi dettagli. Siccome tutto è bene quel che finisce bene, l'avventura può cominciare. Non prima però di un concertone finale che vede cimentarsi diversi artisti: Massimiliano Jovine, Luca Zulù Persico, Valerio Jovine, La Maschera, Tartaglia Aneuro, PeppOh, Carlo de Rosa, Antonio Esposito, Alex Aspide e Giuseppe Spinelli.
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