Arezzo, è qui la crisi. Rapporti tesi, si muove il mercato
Debacle a Poggibonsi per l'Arezzo. Far debuttare Tordella, in una giornata in cui già mancavano due titolari come Strambelli e Mancino, è stata una mossa che non ha pagato. Meglio sarebbe stato rigiocare con i due terzini under e schierare tre over in mediana contro i tre over del Poggibonsi. Non ha pagato nemmeno tenere fuori Pisanu, che sette giorni prima aveva fatto bene e che in campo porta un po' di tigna e di filtro. Non ha pagato giocare 433 con i due esterni d'attacco larghissimi (Muzzi e Marras) e il povero Foggia, sempre più calimero, stritolato dai tre centrali del Poggibonsi, quasi sempre spalle alla porta. Sussi aveva cinque cambi a disposizione ma ne ha utilizzati solo due. Il terzo, Memushi per Campaner, è arrivato a frittata fatta. Il secondo, Sparacello per Pinna, ha sbicentrato la squadra che di lì in avanti ha perso quel filo d'ordine rimasto. E ogni volta che il Poggibonsi recuperava palla, andava in porta. Eppure non è questo che fa l'analisi oggi.
L'esperienza che non c'è. Quattro gol in trasferta, in tutti questi maledetti anni di serie D, l'Arezzo li aveva beccati altre volte. Mai si era provata una sensazione d'impotenza come ieri. In campo c'è andata una squadra morta, piallata, azzerata. Il cambio di allenatore, anziché dare una scossa, ha prosciugato tutto. Da Gavorrano in poi l'Arezzo è andato giù. Ha giocato malino quasi sempre, anche se nelle ultime due gare aveva perlomeno ritrovato un po' di spirito, di combattività, di cuore. Era brutto, traballante ma vivo. A Poggibonsi è stato un disastro collettivo, il che è molto preoccupante. Per i calciatori non ci sono alibi: si può perdere ma non a quel modo, senza uno straccio di mordente, dando sempre la sensazione di giocare a casaccio. Eppure la squadra, nonostante sia impopolare dirlo oggi, ha difetti ma anche valori importanti. Solo che è stata coltivata male e gestita peggio: dalla società sono sempre arrivati segnali discutibili, precari, ambigui riguardo la cosa tecnica. E certe carenze si pagano, specie se sei condannato a vincere un torneo bastardo come questo. Oggi, 29 novembre, a -8 dalla vetta, non c'è uno dentro l'Arezzo che abbia l'esperienza, il passato, le palle, la competenza, la credibilità per rassicurare la piazza e arginare una frattura sempre più larga. Il resto è tutta una conseguenza.
Rottura con i tifosi. Poche volte nella storia amaranto è successo che i tifosi abbandonassero lo stadio prima della fine. Un epilogo increscioso e inatteso se si pensa che, con una retrocessione che ancora sanguina sulla pelle, l'Arezzo ha avuto 150 persone a fianco ad Ardea, 250 a Rieti, 400 a Gavorrano, 600 a San Giovanni, 300 a Città di Castello, 200 a Poggibonsi. Il totale fa 1.900. Un bonus clamoroso gettato alle ortiche. Da oggi in poi sarà tutto più difficile.