Mentre l'Italia celebrava la Liberazione, fresca a quell'epoca di soli 20 anni e dunque ancor viva nella memoria dei presenti, la Trevigliese saliva in paradiso: 25 aprile 1965, stadio comunale «Mario Zanconti», trentunesima giornata del campionato di Serie D che di turni ne conta 34.

I biancocelesti comandano la classifica del girone B con sei punti di vantaggio sul Bolzano e ospitano i veneti della Pro Mogliano, che sta lottando per non retrocedere e a Treviglio fa le barricate. Finisce 1-1 ed è il pareggio più bello della storia del glorioso Circolo Sportivo Trevigliese: perché il Bolzano perde e scivola a -7, distacco incolmabile in un'epoca in cui le vittorie valgono due punti. 55 anni come oggi, la capitale della Bassa esplode di gioia. Ai tempi la squadra del paese era un'icona da venerare e la sua partita un rito collettivo.

«L'appuntamento era fisso per tutti», ricorda il trevigliese Beppe Pacchetti, già politico e docente, ai tempi giovane cronista al seguito di una formazione entrata nel mito, «e lo stadio era sempre pieno in ognuno dei suoi settori. Dietro le panchine (imbullonate sul lato opposto rispetto a dove si trovano ora, ndr) c'era solo la monumentale tribuna centrale, ma con l'approdo in Serie C divenne necessario costruirne altre due ai suoi lati, più piccole: spesso stracolme pure loro».

Le partite, un piacere Del resto, assistere alle partite di quel team era un piacere. «Giocava davvero bene, grazie a un blocco di atleti confermato dalla stagione precedente. Quindi già aveva un'anima e un assetto, confezionato da Franco Papini: un ottimo allenatore che conosceva benissimo il calcio». Inoltre, in estate, mentre il gruppo del presidente Agostino Melli sudava per la preparazione sul campetto dell'oratorio (« ... su una porzione di terreno illuminata a malapena da un faro», riportano le cronache dell'epoca), il prato dello «Zanconti» veniva finalmente rifatto, scongiurando il rischio di vedere, come già in passato, gli scarpini degli atleti affondare nella fanghiglia.

«Lo schema di gioco -continua Pacchetti - rimandava a una sorta di WM: era il 3-4-3 dell'epoca, in cui i terzini facevano i terzini restando fermi in difesa e le ali facevano le ali giocando fisse sul fronte d'attacco. Il tutto ruotava attorno ad alcuni elementi chiave: la mezzala Donadelli, detto il Conte, un cavallo pazzo a volte inesistente sul campo e subito dopo assolutamente decisivo; l'allora regista Maeslroni, a lungo poi allenatore nel calcio bergamasco; ma soprattutto il capitano Cavaletti, un formidabile libero che avanzava dalla linea di difesa impostando ogni azione con una maestria senza pari».

Ah, che giocatore, il «Tista » Cavaletti, che lavorava alla Prandoni e vide poi, trent'anni più tardi, suo figlio Fabio indossare per tante stagioni la stessa maglia a strisce verticali, ricoprendone per giunta lo stesso ruolo. Il gruppo era poi composto da una serie di giocatori di livello, «capaci di grandi cose nel pieno della loro forma. E là davanti c'era Goffi, un bresciano, il finalizzato re del gioco e autore di tanti gol». Quell'anno saranno una ventina, di cui il numero 16 entra nella storia: è lui, infatti, ad andare a segno contro la Pro Mogliano con una splendida rovesciata da fermo, riprendendo il pallone re- spinto dal palo su una punizione del roccioso Gira.Il campionato 1964/65 era iniziato con uno squillante 4-1 ottenuto sul campo del San Donà di Piave: risultato carico di buoni presagi, che peraltro già avevano punteggiato l' intera estate.

«Trevigliese matura per la C?» titolavano i giornali a settembre, auspicando che il punto di domanda venisse poi cancellato. «Va detto che la composizione del girone, fatto di lombarde, venete e friulane, era stata accettata di buon grado, almeno rispetto all'ipotesi di andare a giocare in Piemonte dove il livello pareva leggermente superiore. Ma le avversarie pericolose non mancavano di certo, a cominciare da quelle espresse dai capoluoghi di provincia: Bolzano, Trento, Pordenone, Sondrio. I tifosi, tantissimi in casa, non mancavano mai neppure in trasferta: facevamo i pullman e io salivo spesso su quello della squadra, a volte partendo anche il sabato viste le distanze. E sulla strada del ritorno scrivevo a mano i miei pezzi, al buio e con la penna saltellante, poi all'autogrill correvo a telefonare all'Eco per dettare le mie cronache. Trovavo sempre lo stenografo Bracchi, che ogni volta mi esortava a tagliare corto: ma era davvero difficile condensare in poche parole certe imprese e certe emozioni ».

Al di là dell'indimenticabile pareggio del 25 aprile (e della grande festa organizzata due domeniche dopo per l'ultima partita giocata in casa), fra i ricordi di Beppe Pacchetti si staglia soprattutto un risultato ottenuto un mese prima: «A metà marzo, con i giochi ancora del tutto aperti, la Trevigliese venne chiamata a uno scontro diretto in casa dell'Audace, temibile veronese che giocava allo stadio Bentegodi appena inaugurato. L'atmosfera del grande impianto da Serie A esaltò le qualità dei nostri giocatori, che offrirono una splendida prestazione vincendo 2-1: quella fu la gara della svolta definitiva, perché tutti si convinsero che la squadra sarebbe poi arrivata fino in fondo».

Sezione: Eccellenza / Data: Dom 26 aprile 2020 alle 18:30 / Fonte: l'eco di bergamo
Autore: Nicolas Lopez
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