Il movimento calcistico italiano, come ormai raccontiamo dal lontano 2009 (in tempi, quindi, non sospetti), vive una fase di declino le cui ragioni affondano le radici in evidenze ben più complesse del classico "troppi stranieri nelle squadre", usato in maniera semplicistica come capro espiatorio e specchietto delle allodole per spostare l'attenzione da ciò che davvero nel tempo in Italia si è incancrenito portando fuori asse il Paese che per decenni ha sfornato fior di giocatori e che, da tempo, piange la mancata partecipazione agli ultimi due Mondiali come se questa fosse la vera cartina di tornasole dello stato di salubrità del cuoio nostrano.
Uno dei fattori che non aiutano ad uscire fuori dal proverbiale pantano nel quale siamo sprofondati è l'omertà che regna anche in questo settore. Un omertà corporativista che tende ad isolare e farne carne da macello tutti coloro i quali diventano voci fuori dal coro. Un mondo, quello del calcio, che si chiude a riccio rimbalzando qualunque tipo di critica, anche laddove queste sono volto a "costruire".
Sono sempre pochi i "Braveheart" che non temono di dire la propria senza paura di filtri. Tra questi pochi, sicuramente possiamo annoverare il cinquantaduenne Alessandro Sturba, una persona che anche da calciatore era per nulla incline ai compromessi. Figurarsi da quando, appese le scarpette al chiodo, ha deciso di fare l'allenatore.
Classe 1972, romano d.o.c., Sturba ha avuto una carriera professionistica di rilievo giocando dalla serie A alla C. Vestendo la maglia della sua amata Roma, ai tempi di Capello, compagno di Francesco Totti e Daniele De Rossi, e poi Verona, sia in A che in B, Fidelis Andria, con cui ottenne la promozione in serie cadetta, e poi ancora Cittadella, Venezia, Salernitana, Catania e Lucchese. Proprio la parentesi in Toscana fu foriera di eventi importanti che hanno valicato il rettangolo verde: Sturba mette su famiglia e diventa di fatto Valdinievole d'adozione legandosi al territorio. La carriera di allenatore inizia poi con la Juniores dell'Uzzanese. Subito dopo la serie D, stagione 2013 - 2014, dove sfiora il miracolo chiamato al capezzale del Villafranca Veronese, col senno di poi troppo tardi però. Poi ancora l'incredibile cavalcata col Montecatini dove sfiorò i play-off, mancati solo per quello che lo stesso Sturba definì come il "patto del mare", con protagonisti i club costieri. Poi di nuovo tanto lavoro con il settore giovanile.
Lei non può rientrare in quella categoria di "omertosi" del calcio.
«Io non ho mai avuto peli sulla lingua. Mi sono sempre confrontato anche nella mia carriera da calciatore con gli allenatori, e ne ho avuti di importanti. Ho sempre detto le cose come stanno, non ho mai avuto paura di nulla».
Sturba allenatore cosa ha fatto negli ultimi anni?
«Vengo da due campionati Allievi stravinti. A dicembre dello scorsa stagione poi ho preso anche i 2007 degli Allievi regionali, erano terz'ultimi, ho fatto 50 punti e sono andato in Coppa Toscana uscendo ai rigori ai Quarti di Finale però...».
Però?
«Non ti chiama nessuno. Tutti che ti fanno i complimenti, i genitori dei ragazzi che ti adorano, i ragazzi che stravedono per te, perché con loro lavoro a trecentosessanta gradi e non lascio indietro nessuno. Però... nessuno ti chiama».
Lei di recente è stato anche in Uruguay, vero?
«Sì. Fatto benissimo anche lì, ma poi tornato in Italia ugualmente non ho ricevuto alcuna chiamata. Diventa snervante».
Si evidenzia una criticità: forse chi ha una buona nomea a dispetto del lavoro riesce a piazzarsi sempre?
«La realtà è sotto gli occhi di tutti. Allenano sempre gli stessi. A dispetto anche di esoneri messi in fila o retrocessioni sul campo. E questo non è che capita soltanto nei Dilettanti, anzi, parte dal mondo dei professionisti a scendere».
Secondo il suo punto di vista la norma in vigore ormai da qualche anno che permette ai tecnici esonerati entro una determinata data di poter tornare ad allenare nel corso della stessa stagione ha ulteriormente compromesso questa situazione?
«Questa norma ci sta, in linea teorica è corretta. Però bisogna anche vedere il pregresso. Se uno arriva da una sequela di esoneri di fila, oppure retrocesso, non puoi continuare a riprenderlo. Il problema è chi fa bene spesso sta a casa. E non parlo solo del sottoscritto, come me ce ne sono tanti. Quando giocavo io se un allenatore faceva male, prima che lo richiamassero serviva tanto tempo. Oggi è al contrario. Quindi c'è chi lavora tutti i giorni, si aggiorna, dimostra di essere bravo ma resta al palo. La norma andrebbe modificata, se tu vieni esonerato tre volte di fila ad esempio la regola dovrebbe prevedere che tu torni a Coverciano a fare un aggiornamento obbligatorio prima di poter tornare in panchina».
Perché questo secondo lei?
«Perché ormai è un sistema che si regge sulle amicizie, più che sul lavoro. Ormai tanti colleghi sono sempre con il telefonino in mano a chiamare presidenti e direttori sportivi. C'è un problema soprattutto di professionalità che sempre più manca nei club, direttori sportivi improvvisati, consiglieri del presidente, gente che nella vita fa spesso tutt'altro mestiere a cui poi vengono date le responsabilità delle scelte».
Vogliamo dirlo fuori dai denti? C'è anche qualche club che in sede di trattativa come prima domanda chiede al tecnico cosa può portare...
«Altro problema. È successo anche a me. La mia risposta? Io porto me stesso ed il mio staff. Se vi interessa bene, altrimenti non perdiamo tempo. Fenomeno che cresce anche tra i professionisti a dispetto di quanto si possa pensare relegandolo a fenomeno dilettantistico».
Chi vive il calcio da vicino sa delle storture che esistono. Eppure sono veramente in pochi a parlare di quanto accade.
«Perché è un sistema a circuito chiuso. Ti lamenti ma come? Con chi? Dove? Qui bisogna prendere una posizione importante. Poi, è normale che ci sia gente che è abituata a sottomettersi al sistema. Io le cose le dico».
Sembra difficile venirne a capo.
«Si andrà sempre peggio. Adesso siamo dietro a tantissime nazioni europee. Perché c'è gente che continua a lavorare. In Francia, Spagna, Olanda, Inghilterra lavorano nei settori giovanili. In Italia nei settori giovanili abbiamo sempre meno competenze, perché i club prendono o chi allena gratis o, peggio, chi ti porta i soldi. E chi lo fa crescere un giovane per farlo approdare in prima squadra? E tu società come fai le tue plusvalenze se non costruisci e non vendi? Come si fa a non capire che è un cane che si morde la coda? Praticamente nessuno qui da noi investe nei settori giovanili. In Spagna come in Germania un allenatore di una Primavera viene pagato da 250 a 500 mila euro».
Parlando di settore giovanile, lei è stato vicino nella scorsa stagione alla Fiorentina?
«Si, è vero. Sono stato osservato tre volte. Le prime due relazioni sono state ottime, poi la terza, poi quando mi ha visionato uno scout "credibile", la realazione è stata negativa. Il motivo sarebbe stato che io ero troppo agitato in panchina. Ci si può credere? Morale, sono stato tagliato. Lui dopo un mese è stato mandato via, ed io ho perso l'ennesima occasione. Quando si osserva un tecnico bisogna guardare a tutto, come lavora, come gioca le partite, in che ambiente lavora, se sa quando agire e quando no».
Poi non si va ai Mondiali e ci stracciamo tutti le vesti.
«Il problema è serio. Non c'è più un Totti, un Maldini, un Nesta, un Cannavaro, un Pirlo... dove sono? È imbarazzante. Poi puoi compensare con la tattica ma ad un certo punto se non hai la qualità come fai? Se non lavori nei settori giovanili, come fai a costruire i giocatori per portarli nelle prime squadre, in serie A, B, C ed in Nazionale?»
Come se ne esce? Al livello dei piani alti non pare che vi sia un concreto interesse ad affrontare la cosa...
«Perché ormai è un business. Anche delle quote, dei tesserini. Sfornano allenatori ogni tre mesi. Parte tutto dai piani alti secondo me. Se ci troviamo in questo stato parte tutto da lì. La politica del potere la fa da padrona nei palazzi dove si decide il futuro del calcio, si pensa alle poltrone e non al futuro del movimento. E se le cose non cambiano il futuro è destinato a darci ulteriori dispiaceri».
In chiusura, lei di certo non si arrende: dove troveremo domani Sturba?
«Il mio mondo è sempre stato il professionismo dove nessuno, dopo aver terminato la carriera da giocatore, si è fatto più sentire. Nessuna chiamata nonostante i mie risultati. Ma rimboccandomi le maniche per l'ennesima volta accetterei volentieri anche una serie D, magari con un bel progetto da costruire o competere per vincere la categoria».
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