Solo su Instagram lui ha 170mila follower, sua moglie Micol oltre 800mila e viaggia spedita verso il milione. Christian Massella gioca nel Team Nuova Florida, lo scorso 9 febbraio ha vinto, con i suoi compagni, la Coppa Italia d’Eccellenza e questa settimana ha centrato la promozione in Serie D, ma per molti non è solo un calciatore. Anzi: è un influencer, un giovane papà marito di un’attrice (influencer come e più di lui), che però ogni giorno va al campo e si allena. E considera il calcio parte fondamentale della sua vita, subito dopo la famiglia.
Intervistarlo è semplice: basta mandare una mail all’indirizzo che si trova su Instagram, una sua collaboratrice risponde e ti mette in contatto con lui. Calciatore sì, ma anche e soprattutto personaggio pubblico. Cosa rara, per chi gioca in Eccellenza, anche se con un passato alle soglie del calcio professionistico ai massimi livelli.
Con i suoi compagni scherza mai su questo suo essere un personaggio noto?
“Beh sì, devo ammettere che molti dei nostri gruppi WhatsApp, soprattutto quello dello spogliatoio, vertono su questo argomento. Loro ridono e scherzano, e io sto allo scherzo. Mi dicono: “Facciamo foto, fammi aumentare i follower, fammi pubblicità”. E ci divertiamo molto su questo, facciamo gruppo. In fondo chi gioca a calcio è un eterno bambino. E io sono più bambino di tutti. Anche se a gennaio ho compiuto 29 anni e vado per i 30 adesso. Me sto a invecchià…
Eppure ha già due bambini.
Sì, Arya di 4 anni e Samuel di 1 anno e mezzo. Sono un papà giovane e presente, e lo stesso vale per mia moglie che ha tre anni meno di me.
È per questo legame che ha con i bambini che quando smetterà di giocare vorrebbe lavorare con loro?
Ci sto pensando e credo che prenderò il patentino da allenatore. Già quando ero all’Ostiamare, lavorando con i più piccoli, mi sono reso conto che è questo il tipo di calcio che piace a me e che sento più mio. I calciatori adulti sono un po’ “difficili”; tutti quanti, me compreso. E quindi preferirei dedicarmi al lato bello del calcio, far crescere dei bambini con lo spirito giusto, che oggi sembra essersi perso.
E se suo figlio volesse fare il calciatore?
La verità: sinceramente non lo so. Penso che non avrei nulla da dire se questa fosse davvero la sua passione. Ma non è che il calcio attuale mi faccia impazzire. Noi dicevamo: ‘è più forte questo, è più forte quello’, loro invece adesso pensano: “Quanto guadagna Messi, quanto prende Ronaldo”, chi ha più like e chi fa più cose sui social. Non mi appartiene tanto questo calcio.
Lei ha girato molte squadre, da gennaio è nel Team Nuova Florida, in Eccellenza, e ha subito vinto la Coppa Italia regionale.
Ho iniziato l’anno con l’Albalonga, ad Albano, poi a gennaio mi sono trasferito. Giochiamo e ci alleniamo ad Ardea, come gruppo mi trovo molto bene. Non è facile giocare in Eccellenza perché non è mai semplice adattarsi a una nuova categoria: se non ci vai con i piedi di piombo rischi di fare un botto clamoroso. Ci vuole umiltà, ma anche tanto impegno e consapevolezza delle difficoltà che ti aspettano. I miei compagni sono stati importantissimi, tanto che dopo poco tempo tutto è filato liscio. La finale di coppa l’ho giocata per intero, 120’, e ho anche segnato il primo rigore della serie.
Ci racconta qualcosa di lei e della sua carriera?
Gioco a calcio da sempre. Ho iniziato a Corviale, all’età di 8 anni, e da subito sono finito in squadra con i più grandi. Poi sono andato all’Ostiamare, ho esordito in prima squadra a 15 anni e l’anno dopo venni aggregato per il ritiro in Serie D. A quel punto il Bari comprò il mio cartellino, avevo 16 anni, e vi rimasi due anni. Mi allenavo in prima squadra con Conte, che venne al posto di Materazzi, e giocavo in Primavera. Purtroppo dopo una partita contro la Lazio ebbi dei problemi con Perinetti sul contratto, così me ne andai e feci ritorno a casa. Da lì mi sono fermato.
Per tre mesi, un momento determinante nella sua crescita.
Sì, perché mio padre in quei mesi mi ha portato al cantiere a lavorare. Dopo sono andato a Guidonia e a Frascati, dove ho fatto 15 o 16 gol da esterno.
Il suo ruolo preferito?
Tutti quelli d’attacco. Ad oggi dico la prima punta perché mi piace fare gol. Mi sono sempre ispirato a Marco Di Vaio: faceva 150 movimenti al secondo e sapeva fare bene tutto. Però mi piaceva tantissimo anche Tommaso Rocchi, dentro l’area era fortissimo.
Come concilia famiglia e calcio?
Beh, mia moglie fa l’attrice e io il calciatore, quindi abbiamo sempre avuto le idee chiare. Quando è nata Arya non c’erano problemi, ma anche ora riusciamo a gestirci bene perché Micol fa più l’influencer che l’attrice quindi sappiamo quando ha degli eventi e non è mai via per periodi troppo lunghi. Io mi alleno il pomeriggio, la mattina i bambini sono a scuola ma riesco ad andarli a prendere.
Ci spieghi la scelta di fare l’influencer: l’hanno spinta motivi economici o perché è un mondo che l’attira?
Non è che con Instagram sia così facile guadagnare. Quella che ha tanti follower e ci lavora davvero è mia moglie, io ci sono di riflesso. Per me all’inizio era un gioco, magari adesso qualcosa in più, ma non mi reputo un influencer perché non ho mai fatto nulla in questo mondo. Spesso le persone mi seguono perché sono il marito di Micol Olivieri, poi magari scoprono che sono anche simpatico (ride, ndr). Ma davvero per me non è una priorità, semplicemente qualcosa che mi diverte. Se poi può tornare anche utile, perché non approfittarne?
Farebbe un reality insieme a sua moglie?
Mi piacerebbe, però è dura con due bambini. Magari quando saranno un po’ più grandi potremmo pensarci. Adesso lo spettacolo è il suo mondo, il mio continua a essere il calcio. È così da sempre, quando ero piccolo mi addormentavo col pallone e non so quanto io sia cresciuto da allora: come ho detto prima, per me ogni calciatore, a qualsiasi livello, rimane un po’ bambino.
Autore: Nicolas Lopez
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