È come un vulcano pronto ad eruttare passione Marco Nappi. La sua voce non racconta solo di questioni di campo, trasuda amore viscerale per questo sport. Il tecnico, quest'anno protagonista sulla panchina della Cairese, si è concesso alle domande della redazione di NotiziarioCalcio.com e lasciatemi dire che in Nappi alberga ancora quella stessa fame indomita che lo contraddistingueva in campo, quando inventava dribbling e lottava su ogni pallone come fosse l'ultimo respiro. Parlare con lui è un'iniezione di adrenalina pura per chi ama ed ha passione per il cuoio. Nappi è l'esempio cristallino di ci vive il calcio con anima e corpo, senza filtri, senza risparmiarsi mai.
Anche in questa stagione Marco Nappi è chiamato in corsa. Stavolta il capezzale era quello della Cairese. Poi l'esonero. Ci spiega cosa è accaduto?
«Non so lo, non me lo so spiegare neanche io. Sono arrivato con la squadra in zona play-out, siamo riusciti ad uscirne e poi è giunto l'esonero. Ero in linea con quanto chiestomi dalla società, ovvero la salvezza senza passare dai play-out. Ci sono riuscito e sono stato mandato via. Ancora adesso sto cercando la motivazione del mio esonero. Non la conosco e neppure mi è stata comunicata. Va bene così».
Dalla voce si percepisce però dell'amarezza...
«Quando non vieni apprezzato... alla fine va bene così. Non è un problema. Il mio lavoro l'ho fatto, l'ho fatto bene e pazienza. Caricherò le batterie in vista della prossima stagione».
In ogni caso alla Cairese le cose, dopo il suo esonero, non sono andate benissimo.
«Hanno fatto un punto contro il Chieri ultimo in classifica. Noi abbiamo cercato di tirare fuori il massimo dal materiale umano a disposizione e ci sono riuscito perché abbiamo fatto anche prestazioni importanti quattro vittorie, tre pareggi consecutivi e ci eravamo tirati fuori da una brutta situazione. Poi dopo è arrivata la decisione di esonerarmi. Mi dispiace moltissimo perché mi sono trovato bene, con i ragazzi e con i pochi tifosi che c'erano. E rivederli ripiombare lì mi dispiace perché poi diventa veramente difficile».
Allargando lo sguardo al girone, possiamo dire che il Bra ha vinto il campionato?
«Con la sconfitta della NovaRomentin di domenica scorsa contro il Ligorna credo che i giochi si siano chiusi. Avessero vinto sarebbero andati a cinque punti ed avrebbero tenuto il campionato aperto. Anche perché il Bra non sta attraversando un momento di forma brillante, ha perso con la Vogherese, ha fatto fatica contro di noi, nell'ultima mia partita sulla panchina della Cairese. Ora i giochi sono fatti per la promozione. Soltanto il Bra può perdere questo campionato».
I suoi trascorsi da calciatore non sembra l'abbiano avvantaggiata nel percorso di tecnico. Di gavetta c'è ne è stata tanta. Ci racconta?
«Non credo che il mio nome mi abbia avvantaggiato. Sono tantissimi anni che alleno, all'inizio mi sono dovuto fare la mia scuola calcio, la Figenpa, per allenare. Ed ho fatto bene anche con la mia scuola calcio perché all'inizio ho vinto tre campionati regionali con la leva classe 1996, me la ricorderò sempre perché abbiamo fatto cose bellissime. Poi ho fatto due anni al Savona dove ho fatto al primo anno un terzo posto con gli Allievi arrivando poi ai Quarti di finale, poi l'anno dopo ho vinto il campionato arrivando primo e siamo andati fuori alle finali. Dopo è arrivato il Montalto in serie D ma lì la situazione era veramente critica e sono andato via. Così sono passato al Livorno guidando la Berretti ed abbiamo vinto lo Scudetto. Pensavo sinceramente di avere una chance anche in Lega Pro proprio col Livorno ma non me l'hanno permesso. Poi sono arrivato in corsa al Pomigliano dove sono stato mandato via quando ero a pochi punti dai play-off e stavo facendo un buon cammino soprattutto considerando che subentrare non è mai facile. Ad Arzachena ho fatto due stagioni strepitose con una società fantastica ed un direttore, Antonello Zucchi, che ancora adesso non passa un giorno che non lo sento. Ricordiamo sempre quelle due stagioni lì centrando in entrambe i play-off, ed uscendo contro due squadre poi entrambe andate in C come Torres e Casertana. Poi la grande esperienza, di nuovo in corso, con la Nocerina ed un eccezionale secondo posto».
Un percorso che la vede alzare sempre l'asticella?
«La mia volontà è di salire di categoria, ci metto sempre l'anima. Io ho dei valori, ho le mie idee e vado avanti con quelle. Mi stanno facendo far fatica a salire di categorie però dal momento che ci arriverò non dovrò dire grazie a nessuno ma soltanto a chi avrà avuto fiducia in me».
La fiducia sin qui se l'è guadagnata col lavoro. Come a Nocera.
«La Nocerina mi è rimasta nel cuore. Nocera è una piazza difficilissima ma che non ha assolutamente nulla a che vedere con la serie D, merita ben altre categorie. Ha una tifoseria devastante. Ormai mi sento Molosso anche io, ogni domenica guardo il risultato della Nocerina e spero che riesca a vincere questo campionato perché se succede vengo giù a festeggiare con i tifosi perché se lo meritano. Io sono andato sotto la curva anche quando all'inizio mi hanno tirato le bottigliette, ma ci sono andato anche quando abbiamo fatto gol al novantesimo contro l'Ischia ed è venuto giù lo stadio. È una cosa bellissima. Pensi che per caricarmi, quando sono un po' giù di morale, mi vado a guardare i video della curva della Nocerina. Abbiamo fatto un campionato strepitoso, ancora adesso sento tutti i ragazzi che erano con me in quella avventura come Cardella, Mazzei, Tuninetti... Liorni stesso. Pensavo di poter rimanere lì ed avere la possibilità di riportare in C la Nocerina ma non è successo e non ho avuto la possibilità di continuare il mio lavoro».
E per giunta dopo è rimasto senza squadra.
«Faccio fatica a digerire questo aspetto. Ho fatto per due stagioni di fila i play-off con l'Arzachena ed ho dovuto aspettare poi ad ottobre per trovare squadra. Vado alla Nocerina, secondo posto e play-off e comunque resto fuori e non riesco a trovare una squadra con cui partire dall'inizio, programmare, far capire ai miei ragazzi cosa voglio da loro. Per questo mi piacerebbe trovare una squadra che mi faccia lavorare, con un direttore sportivo che stia con me e condivida con me tutte le problematiche come è accaduto sia all'Arzachena con Zucchi che alla Nocerina con Prete. Se un direttore sportivo prende un allenatore deve tutelarlo fino alla fine perché se fallisce un allenatore, fallisce anche il direttore sportivo. Un club deve supportare il proprio allenatore, poi è normale essere mandati a casa se i risultati non vengono. Però devo essere mandato a casa con una motivazione».
Mi lascio andare ad un commento perché chi leggerà questa intervista forse non se ne renderà conto: quando lei parla di calcio emana grande energia.
«Per me il calcio è una grande passione e come tale io lo vivo. Per me non è un lavoro, è pura passione e basta. Non lo faccio per i soldi, anche se i soldi sono importanti. Io lo faccio per la voglia di stare in campo, di insegnare calcio. Per questo, ribadisco, mi dispiace non partire dall'inizio. La preparazione estiva ti aiuta a capire le caratteristiche dei tuoi calciatori e come sfruttarle. E per farle vedere loro. Perché con tanti allenamenti a disposizione puoi dedicarti ai singoli calciatori e farli migliorare. Parlare con loro è fondamentale. In campo nessuno mi può mancare di rispetto, devono fare quello che dico io. Fuori dal campo accetto anche la battuta perché il contesto cambia. Io sono un tecnico da questo punto di vista vecchio stampo, ho preso un po' dai tecnici che ho avuto io. Da Franco Scoglio, Giovanni Vavassori, da Gigi Radice, da un sacco di loro. Porto la mia esperienza a supporto della squadra».
Ed in questo la sua esperienza di calciatore fa la differenza.
«I miei dieci anni di serie A e tredici di serie B possono servire. Anche a quei giocatori che fanno oggi quello che era il mio stesso ruolo per far capire loro qual è la caratteristica che possono sfruttare, il movimento giusto per andare a fare gol. Talvolta trovi quello che ha voglia di imparare e ti ascolta, altre invece ti imbatti in quelli presuntuosi che pensano di sapere e non ascoltano».
Nonostante tanti suoi calciatori parlino dei suoi allenamenti particolarmente duri, molti restano legati a lei: è vero?
«Vero. E mi colpisce molto. Li sento sempre con piacere. Pochi giorni fa ad esempio ho sentito Salvatore Giglio, oggi al Savoia, che io ho allenato al Montalto più di dieci anni fa. Io resto in buoni rapporti con chi capisce che con me deve correre. Deve andare a mille all'ora durante gli allenamenti. Con me chi batte la fiacca fa fatica ed alla fine finisce fuori. La mia credibilità agli occhi dello spogliatoio è proprio determinata dal comportarmi allo stesso modo con tutti. Non guardo al nome o a quante presenze hanno in D o in C. E neppure la carta d'identità. Quest'anno ho schierato sempre cinque under. Addirittura con l'Arzachena mi ricordo che battemmo la Palmese con sette under in campo. Io sono questo e chi mi vuole deve sapere che per Nappi tutti partono sullo stesso piano. Ed è importante il rapporto di onestà che si instaura. C'è chi dice il gruppo lo fanno i risultati ma per fare i risultati devi avere prima un gruppo».
All'inizio ci ha raccontato una bugia. Dopo la parentesi Cairese ci ha detto che avrebbe ricaricato le pile aspettando di tornare ad allenare ed invece lei è già palesemente carico.
«Vero, ho una voglia di allenare che non si può immaginare. E poi quando parlo di pallone sono nel mio mondo. La mia idea di calcio, che si basa come modulo sul 4-3-3, è giocare palla, uscire velocemente coi due centrali per creare spazi importanti e verticalizzare appena possibile. Il giro palla va fatto ma solo per andare sugli esterni e poi con loro attaccare la profondità, la porta. Le mie due mezze ali devono sempre inserirsi e quello dalla parte opposta deve diventare un attaccante. Voglio sempre quattro, cinque giocatori che attaccano l'area di rigore».
Avrà sentito parlare dell'ipotesi di riforma della serie D. Cosa buona e giusta, concorda?
«Assolutamente sì, sono d'accordissimo. Ben venga una riforma che sistemi le criticità e le problematiche della categoria. Inoltre, è giusto che una promozione venga assegnata attraverso i play-off perché così il campionato lo si tiene sempre vivo ed i play-off assumono un significato vero rispetto a quello di oggi che ha un valore relativo».
Prima di salutarla. Sui suoi canali social ha scritto un toccante messaggio dopo la scomparsa di Aldo Agroppi. Che rapporto vi legava?
«Un rapporto di stima reciproca ed amicizia. Quando guidavo la Berretti del Livorno avevo in squadra suo nipote, Alessandro Raimo, ma all'inizio non sapevo della parentela. Raimo che gioca stabilmente in serie C, e questa è una bella soddisfazione, ed ora è al Catania. Lui arrivò dalla Fiorentina, era un esterno alto. Io gli dissi che non lo vedevo in quel ruolo, perché per me aveva forza, gamba, e bisogno di spazio e campo. Così lo misi terzino destro nel 4-3-3 e non lo tolsi più. Arrivò Agroppi e mi disse che era suo nipote, gli risposi scherzando che tanto non lo facevo giocare lo stesso. Di lì è nato il rapporto, siamo stati spesso insieme, sono stato a casa sua a Piombino. E con lui non abbiamo mai parlato di situazioni tecnico tattiche ma parlavamo di situazioni extra campo, del comportamento e di come affrontare situazioni difficili. Per me è stato molto importante per gestire tutto ciò che accadeva fuori dal campo e gli chiedevo spessissimo consigli sul come affrontare questa o quella situazione. Purtroppo il signore ce lo ha portato via e per me è stato naturale dedicargli il giusto tributo».
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