Dalle prime parate sui campi della Puglia ai guanti infilati sotto la neve finlandese, passando per la Grecia e poi il ritorno in Italia con la storica promozione dell’Avellino in Serie B. La carriera di Mattia Guarnieri , classe 2000, nato a Noci, non ha mai seguito strade semplici, né percorsi già tracciati. Ma è proprio in questo zig-zag di esperienze, chilometri e culture che si trova la forza del suo profilo: un portiere che non si arrende, che si reinventa, che riparte.
A 17 anni era già aggregato alla prima squadra del Palermo in Serie A. Poi tanta Serie D – dove per due stagioni consecutive è stato considerato tra i migliori tre portieri del Girone H –, la Finlandia, Creta, fino all’Avellino, dove nel 2025 ha vinto un campionato che definisce senza esitazioni “un sogno”. Oggi difende i pali del Niki Sitia , club storico della costa cretese, con un obiettivo chiaro: continuare a crescere e tornare in Italia per inseguire un sogno europeo .
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare il suo viaggio, umano e sportivo. E le sue parole parlano di sacrificio, di notti difficili, di spogliatoi indimenticabili e di una luce che non si spegne: la voglia di vivere il calcio con il sorriso.
Hai vissuto in Finlandia e Grecia: in cosa ciascun paese ti ha cambiato? E qual è stata la difficoltà maggiore nell’adattarti?
«Sono tre paesi totalmente differenti. Con il KFA in Islanda ci sono stato poco, perché ho fatto un po’ di fatica ad ambientarmi. In Finlandia invece, nonostante tutte le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare come club, ho vissuto un’esperienza indimenticabile. Ho imparato tanto dai miei ex compagni, molti dei quali avevano giocato ad alti livelli, e ho capito quanto vivere il calcio con il sorriso faccia davvero la differenza. La Grecia, soprattutto Creta, per certi versi mi ricorda la Puglia: partite fin troppo accese, tifosi che vivono ogni gara in maniera assurda, un calore incredibile. Caratterialmente mi adatto facilmente alle nuove culture. Cerco sempre di essere me stesso e di farmi conoscere per la persona solare che sono».
C’è stato un punto di svolta nelle tue esperienze all’estero? E cosa ti hanno lasciato i campionati nordici dal punto di vista tecnico? Hai mai pensato di mollare?
«Il vero punto di svolta è arrivato quando mi sono ritrovato a 21 anni “vecchio” in Italia e “giovane” in Finlandia. Quella situazione mi ha fatto riflettere tantissimo. Al Nord si lavora molto fisicamente: i portieri venivano trattati come atleti a 360 gradi. Correvamo con la squadra, soprattutto in pre-season. In Finlandia c’erano settimane con due giorni di doppie sedute: palestra e campo, a -12/-13 gradi. Tostissimo, ma un’esperienza che porto nel cuore.
Sì, ho pensato di mollare. Dopo l’esperienza in Finlandia, con in più un mancato tesseramento in Estonia, mi sono ritrovato senza squadra per mesi. È lì che è intervenuto Gaetano, il mio mental coach. Mi ha aiutato tantissimo, mi ha fatto capire che la vita è talmente bella che ogni esperienza va vissuta fino in fondo. E che tutto, davvero tutto, accade per una ragione».
A 17 anni eri aggregato alla prima squadra del Palermo in Serie A: com’era allenarsi con portieri come Sorrentino e Colombi?
«Mi allenavo spesso in prima squadra, soprattutto nell’ultima stagione. Portieri mostruosi come Sorrentino e Colombi, ma anche Marson – che poi ho ritrovato ad Avellino – e Alastra, oggi capitano del Potenza. Di quei momenti porto con me la loro professionalità, la grande umiltà e l’approccio all’allenamento: sempre al massimo, senza mai risparmiarsi. Per un ragazzo di 17 anni è stato un insegnamento enorme».
Il momento più bello con l’Avellino? Cosa ha significato vincere la Serie C?
«Ad Avellino ho vissuto un sogno. Sono stato catapultato in uno spogliatoio pieno di giocatori con carriere incredibili, dai quali potevo solo imparare. Abbiamo vinto il campionato e la nostra forza, oltre alla società e alla tifoseria, è stata proprio lo spogliatoio. Mai visto qualcosa del genere nella mia piccola carriera: professionisti e uomini veri. Vederli giocare era assurdo. Per me è stato un onore far parte di quel gruppo. Ho pianto tanto quando abbiamo vinto: da bambino sognavo un giorno così».
Guardando al futuro, dove ti immagini? Qual è il sogno che vuoi inseguire?
«Il mio desiderio è di tornare in Italia e dimostrare il mio valore, come sto facendo all’estero. Stavolta la scelta di venire qui è stata un po’ obbligata, ma sono felicissimo e mi sto trovando da Dio. Il mio sogno? Giocare una competizione europea. Farò di tutto per realizzarlo».
Come procede l’esperienza al Niki Sitia? Che tipo di stagione state vivendo?
«A Sitia mi sto trovando benissimo: una piccola città sul mare, bellissima, piena di persone per bene. Stiamo lottando per salire di categoria. Il Niki è un club storico di questa cittadina della costa cretese: tanta gente lavora per il bene del club e questo rende l’ambiente molto familiare. Passiamo tanto tempo insieme, anche fuori dal campo, con i ragazzi e le loro famiglie. Cerchiamo di fare gruppo, perché sappiamo quanto questo conti per raggiungere l’obiettivo. Anche se è una realtà più piccola rispetto alle mie esperienze precedenti, sono davvero felice. Ringrazio il presidente Vangelis per questa possibilità».
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