«Queste cose continueranno, però ho speranza. I vecchi sono così, ma i giovani sono diversi: col tempo la stragrande maggioranza degli italiani capirà che il colore della pelle non conta. È solo questione di melanina».
È con una mezza battuta che il giorno dopo Ousseynou Diedhiou commenta l’insulto razzista che gli è piovuto addosso domenica dalla tribuna di Cison. Lui, difensore di 27 anni del San Michele Salsa, è andato via dal campo deluso e arrabbiato. Sono stati i suoi compagni a calmarlo, quando ormai avevano deciso di lasciare il campo e tornarsene negli spogliatoi.
Troppo grave quello “stai zitto, negrone” urlato da un genitore di uno dei ragazzi della Cisonese nel silenzio del piccolo stadio di Cison, paesino delle colline del Prosecco, dove stava andando in scena una partita di Prima categoria fra due squadre con un bisogno disperato di punti. Ma la classifica passa in secondo piano davanti a un insulto razzista urlato nel silenzio, una pugnalata che ha colpito cervello e stomaco. È così che si è sentito anche Diedhiou subito dopo quell’urlaccio: «Lì per lì sono rimasto basito, ma subito dopo avrei voluto salire in tribuna a spaccargli la faccia. Mi sono controllato e i miei compagni mi hanno calmato. E per fortuna: saremmo passati subito dalla parte del torto», racconta il difensore, 27 anni e un passato anche in Serie D con il Tamai. Diedhiou è arrivato in Italia 19 anni fa: la sua famiglia arriva dal Senegal ma lui ha studiato in Italia fin dalla seconda elementare, come dimostra il suo italiano perfetto (e cadenza veneta).
Di tutta questa storia c’è una cosa che proprio non gli va giù: un dirigente della Cisonese in un primo momento ha dichiarato che nei soli 25 minuti giocati aveva fatto tanti falli, quasi a dare un perché a quell’insulto razzista: «Sono tutte sciocchezze. Non avevo fatto un solo fallo: mi sono solo chiarito con l’arbitro su un fuorigioco, e allora è partito l’insulto», racconta. È stato allora che un suo compagno di squadra ha dato dell’ignorante a quello spettatore, venendo espulso per aver offeso il pubblico. In quel momento il mister e il capitano si sono portati via la squadra, facendola rientrare negli spogliatoi.
Diedhiou si è confrontato con l’arbitro («quell’espulsione era esagerata: non mi sembra che quello sia stato un insulto al pubblico», racconta) e con alcuni avversari, che gli sono andati vicino per scusarsi e offrirgli solidarietà: «Ho voluto lasciare stare. Anche dopo la partita quell’uomo continuava a dirci di andare al bar con lui, ma siamo rimasti dove eravamo. Ha sbagliato: peccato, ma non si può tornare indietro. Spero che qualcuno paghi: quello che è successo è veramente grave. Sono state dette delle bugie e quella cosa mi ha fatto arrabbiare», prosegue il difensore. Una roba del genere non gli era mai successa, e non solo su un campo da calcio. Mai nella sua vita gli era capitato prima di essere insultato perché nero, e questo in un primo momento lo ha lasciato senza fiato, ma non senza la voglia di tornare a giocare a pallone. Diedhiou non ha nessuna intenzione di rinunciare al campionato. Continuerà a giocare come sempre, facendo vincere lo sport su tutto il resto. «Continuo a giocare tranquillo. Di solito il pubblico non lo ascolto neanche, ma stavolta era impossibile non sentire: c’era un silenzio assoluto in campo», conclude.
Autore: Maria Lopez
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