L’accento tradisce le origini. Ciccio Tavano, che quasi nessuno chiama Francesco come all’anagrafe, è nato a Caserta ma ha messo radici e fatto famiglia in Toscana. Dal 2007 a oggi, solo una parentesi di un anno ad Avellino; per il resto, Livorno, Empoli, Prato, Carrarese e ancora Prato.
Non era mai sceso nei dilettanti, Tavano, “ma la passione per il calcio non ha categoria”. La Serie D va avanti; Tavano, a 41 anni che a marzo saranno 42, pure.
Tavano, contento che la Serie D stia cercando di proseguire?
“Certo, fa felice me e tutti i protagonisti di questo campionato. Dispiace per la situazione, ma il calcio deve andare avanti perché dà l’opportunità a tanta gente di passare le giornate con un sorriso. Senza ovviamente dimenticare chi lavora in questo settore”.
Un nuovo stop c’è stato, ma a breve si dovrebbe ripartire…
“Lo spero, perché senza il calcio non so stare. Durante il lockdown, a casa con la mia famiglia, mi sono allenato ogni giorno. E lì è scattata la scintilla, che mi ha fatto capire che non è ancora il momento di fermarmi. Ero in scadenza di contratto con la Carrarese, volevo giocare vicino a casa. Così quando è arrivata la chiamata del Prato non ci ho pensato un attimo”.
Si sente più toscano o campano?
“Molto toscano, diciamo così. Ho vissuto più anni qui che a casa. Poi in Toscana si vive bene e c’è un’ottima cultura del calcio. Ho avuto la fortuna di arrivare in una società come l’Empoli che mi ha fatto crescere a livello sportivo e umano”.
Per quanti anni vuole andare avanti?
“La carta d’identità ha il suo peso, ma sono gli stimoli e il fisico che contano di più. Mi sento benissimo: non ho avuto infortuni gravi in carriera e questa cosa mi ha aiutato. Non so dire se questo sarà o meno il mio ultimo anno. Più avanti ci si penserà, lasciare il calcio sarà dura. Di sicuro, vorrei rimanere nell’ambiente”.
Ha già pensato a come giocare il suo “secondo tempo”?
“Prenderò il patentino per fare l’allenatore. Mi piacerebbe iniziare con i giovani, anche per il carattere che ho. Molti miei colleghi hanno cominciato dalle prime squadre, o addirittura dalla Serie A. Io vorrei iniziare dal basso”.
Ci racconta il suo primo giorno nello spogliatoio del Prato? Alcuni suoi compagni, per età, potrebbero essere suoi figli…
“Dovreste chiederlo a loro (ride, ndr). Non credo ci sia stato timore, piuttosto curiosità nel vedere un giocatore di esperienza seduto accanto a loro. Ma per il carattere che ho, sono più ragazzino io di loro. Ci siamo accettati subito l’uno con l’altro, il gruppo è fantastico e speriamo si possa lavorare sempre così per raggiungere gli obiettivi”.
E il rapporto con i difensori avversari?
“Mi danno l’impressione di dare qualcosa in più nell’affrontarmi. Vogliono fare bella figura. Ma c’è profondo rispetto tra me e loro, e penso sia anche merito del mio comportamento. Non ho mai avuto atteggiamenti da fenomeno, anzi, è capitato più volte che a fine partita ci si facesse una foto insieme per ricordare la ‘battaglia’ sul campo”.
Cosa si sente di dire a un ragazzo di 18 anni che sogna di diventare calciatore?
“Di non mollare mai e di non buttarsi mai giù dopo un errore o dopo una partita sbagliata. E poi di cercare sempre di allenarsi al meglio, cosa che cerco di fare ancora io. A 41 anni”.
Chi è il giocatore più forte che ha avuto come compagno di squadra?
“Francesco Totti. Un calciatore di enormi qualità calcistiche ma soprattutto umane. Da fuori si può pensare abbia la chiacchiera facile nello spogliatoio. Invece parliamo di un lavoratore che si è sempre messo a disposizione di ogni compagno. Scherzava sì, ma il giusto, con la classica battuta pronta tipica dei romani, ma mai una parola fuori posto. E aveva immense qualità innate, che non scopro certo io”.
E l’avversario più forte che ha avuto davanti?
“Fabio Cannavaro, senza dubbio”.
Stava per essere il suo capitano al Mondiale. Quello del 2006 è il più grande rimpianto della sua carriera?
“Sì. Venivo da una stagione straordinaria (19 gol in Serie A con l’Empoli, ndr), ero tra i convocati per uno degli ultimi stage prima della presentazione della lista dei 23 di Lippi. Mi feci male, mi dovetti accontentare di fare il tifo da casa. Potevo essere campione del mondo, sono stato sfortunato ma non mi sono mai arreso”.
Cosa c’era di magico nella coppia Tavano-Maccarone?
“Me lo chiedono in tanti, anche perché i numeri parlano chiaro. C’è sempre stato un feeling particolare, ci siamo completati per anni”.
Tra i tecnici che ha avuto, se dovesse scegliere un allenatore da cui farsi guidare per l’ultima stagione della carriera?
“Ne lascerei qualcuno scontento. Però mi sento di citare Silvio Baldini, che mi ha fatto esordire, e Mario Somma con cui sono ‘esploso’. Ma ne ho avuti tanti: Sarri, Spalletti e altri ancora”.
A 41 anni ha esordito in Serie D. Che idea si è fatto di questo campionato? È l’ideale per i giovani?
“Devono giocare per regolamento, ma credo sia un passaggio indispensabile per chi vuole fare il calciatore. C’è chi nasce e resta tra i professionisti sin da giovanissimo, ma la Serie D è un grande trampolino di lancio”.
Autore: Nicolas Lopez
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