L’architetto Marco Sgrò sabato 9 maggio compie 50 anni. Laziale ormai bergamasco, mister della Tritium, come tanti ex atalantini che hanno messo radici in terra orobica ha sposato una ragazza di Cologno di Serio, quindi è rimasto per ragioni affettive oltre che calcistiche. In questa intervista rilasciata i colleghi del portale bergamonews.it il tecnico abduano si racconta e parla di sè.
Centoventi partite e 14 gol nella sua carriera all’Atalanta, ma come ha fatto un ragazzo di Sermoneta, provincia di Latina, ad arrivare al Genoa e dopo qualche anno, all’Atalanta?
“Semplice: a Latina c’era e c’è ancora un osservatore che lavora per il Genoa e a 13 anni mi ha portato là. Per cui ho fatto tutta la trafila delle giovanili. Se giocavo già allora a centrocampo? Macchè, Perotti mi aveva piazzato sulla fascia destra e io non mi ci trovavo. Poi sono andato a Jesi e in C2 a 17-18 anni giocando da mezzapunta ho fatto 9 gol e mi voleva mezza Serie A. Sono rientrato al Genoa perché ero in prestito da loro, era la squadra con Skhuravy e Aguilera, ho fatto qualche amichevole, purtroppo Scoglio i giovani proprio non li vedeva… E allora sono passato al Siena dove ho ritrovato Perotti che prima allenava la Primavera del Genoa: abbiamo vinto il campionato di C, però stavo sempre all’ala. Gli ho detto: mister, non me la sento di giocare in quel ruolo. E sono di nuovo andato via. In C1, prestato al Fiorenzuola, due anni e mezzo con Veneri allenatore, che infatti mi ha detto subito: ma chi ti ha messo all’ala? E mi ha spostato davanti alla difesa. E in due anni sono arrivato in Serie A: mi hanno visto Prandelli e Nicola Radici e mi hanno portato a Bergamo”.
L’anno sfortunato della retrocessione (1993-94, ndr), poi la parentesi di Ancona e quindi il ritorno, tre anni atalantini con Mondonico per formare la coppia degli architetti di centrocampo con Fabio Gallo.
“Sì, in realtà mi avevano preso per il futuro, anche l’anno della retrocessione è stata un’esperienza se pur sfortunata. Ad Ancona ho giocato 38 partite su 38 in B, c’era ancora Perotti e mi volevano confermare, ma io volevo tornare all’Atalanta…”.
Tre anni intensi, dalla stagione con Vieri, Morfeo e Tovalieri a quella da ‘architetto’ con Gallo e avanti Morfeo, Lentini e Inzaghi, fino alla retrocessione con Caccia e Lucarelli che non vedevano mai la porta. Tanto è vero che, in quella stagione, sei stato addirittura il capocannoniere dell’Atalanta.
“Vero, è stato il mio anno migliore anche se siamo retrocessi, stagione 1997-98. Giocavo vicino alla punta, o con Caccia o con Lucarelli, ma quasi mai tutti e tre o loro due. Purtroppo tra loro non c’era intesa e alla fine tra campionato e Coppa Italia ho segnato 8 gol, Caccia 7 e Lucarelli 6. Tornando alla prima stagione, a centrocampo dietro giocavano Gallo e Fortunato, mentre io dovevo correre e dare una mano alle punte, Vieri e Tovalieri. Però più gol li aveva fatti Morfeo, che se aveva voglia di giocare era proprio il Fenomeno. L’anno più bello come squadra è stato il 1996-97 quando Inzaghi è diventato capocannoniere e gli ho regalato 8-9 assist, quando lo vedo Pippo me lo ricorda sempre. Personalmente la stagione migliore per me è stata quella successiva, quando poi sono stato ceduto alla Sampdoria e… era già fatta per il passaggio al Milan, almeno finché c’era Capello. Ma poi arrivò Tabarez e saltò tutto. Tanto che io avrei preferito rimanere a Bergamo, ma il presidente Ruggeri mi disse ‘guarda che ci danno un pacco di soldi’ e infatti la Samp mi fece anche un bel contratto”.
Poi tante altre squadre, fino a cominciare la carriera di allenatore che lo vede tuttora impegnato alla Tritium in Serie D. Però, gli anni d’oro…
“Eh quelli con l’Atalanta, non solo per la Serie A. Nel cuore mi è rimasta questa maglia, questi tifosi. Una passione così forte non l’ho trovata da nessun’altra parte, davvero a Bergamo i tifosi sono il dodicesimo uomo e forse non sarà un caso se quasi tutti i miei gol li ho segnati proprio a Bergamo”.
E i suoi allenatori? È rimasto legato a qualcuno in particolare? Con Mondonico tre anni…
“Mondo parlava poco, lui era bravissimo a leggere la partita, a fare le mosse giuste, ci dava tanta carica. Più di tutti mi ha insegnato Spalletti alla Sampdoria, provava e riprovava ogni movimento, mentre posso dire anche con chi mi sono trovato male: Ventura, proprio non capiva”.
E poi è iniziata la seconda vita, da tecnico.
“Ho scelto di fare l’allenatore proprio per rimanere sul campo, mi piace allenare i ragazzi e stare sul campo. Ognuno quando smette capisce cosa può fare e io non ero uomo da scrivania o adatto a fare il procuratore. Qualche soddisfazione me la sono tolta, a Rivolta ho vinto in Promozione, a Pradalunga ho perso solo ai playoff, a Trezzo ho vinto Promozione e Eccellenza e stavamo andando bene anche in D quando si è fermato tutto per l’emergenza virus. E da allenatore è un gran bel ricordo la promozione conquistata in rimonta, eravamo secondi a sette punti dalla prima”.
Sgrò allenatore di provincia, che cosa sogna?
“Mah, tra D e C non c’è grande differenza, io spero un giorno di poter allenare in C o in B, perché no? Invece da giocatore il gol al Milan al volo, ma anche quello alla Roma che è stato poi archiviato come autogol di Lanna. Ma quella volta, il 22 dicembre 1996, abbiamo vinto 2-0 e aveva segnato anche Inzaghi, poi tornando da Roma mi fecero festa duecento tifosi laziali…Beh ho giocato al fianco di tanti attaccanti di valore, da Pippo a Montella alla Samp”.
Allora tanti auguri a Marco Sgrò e…
“Mezzo secolo proprio non me lo sento. Speriamo che si riprenda a giocare in fretta, non sono mai stato tre mesi fermo: come si fa senza calcio?”.
Autore: Mattia Vavassori
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