Il mondo della moda piange la scomparsa di Giorgio Armani, il leggendario stilista italiano morto oggi all'età di 91 anni. La conferma arriva dal comunicato ufficiale del gruppo: «Con infinito cordoglio, il gruppo Armani annuncia la scomparsa del suo ideatore, fondatore e instancabile motore. Il signor Armani, come è sempre stato chiamato con rispetto e ammirazione da dipendenti e collaboratori, si è spento serenamente, circondato dai suoi cari».
Il designer piacentino, nato l'11 luglio 1934, è mancato nella sua Milano del cuore, assistito dalla famiglia e da Leo Dell'Orco, compagno di vita degli ultimi due decenni. La città meneghina, che ha accolto la sua straordinaria ascesa professionale, ha proclamato per lunedì 8 settembre una giornata di lutto cittadino in concomitanza con i funerali, che si svolgeranno in forma privata secondo le volontà del defunto.
Un genio instancabile fino all'ultimo
La morte di Armani ha colto di sorpresa il mondo dell'alta moda, considerando la sua proverbiale dedizione al lavoro mantenuta fino agli ultimi giorni. Ancora di recente aveva ufficializzato l'acquisizione de "La Capannina", descrivendola come «un gesto affettivo, un ritorno alle origini». Proprio in quel locale negli anni Sessanta aveva conosciuto Sergio Galeotti, che sarebbe diventato il suo compagno di vita e socio in affari.
Negli ultimi tempi aveva personalmente supervisionato ogni dettaglio della collezione celebrativa dei 50 anni del brand, destinata alla prossima fashion week milanese. Qualche settimana prima del 91esimo compleanno, un'infezione polmonare lo aveva costretto al ricovero ospedaliero e alla convalescenza nella residenza di via Borgonuovo, impedendogli eccezionalmente di presenziare alla sfilata di giugno - evento rarissimo nella sua carriera.
L'estate era trascorsa serenamente nella dimora di Forte dei Marmi insieme ai familiari. Anche durante il periodo di riposo aveva mantenuto la consueta attenzione maniacale per il lavoro, insistendo perché collaboratori e amici si recassero al suo posto nella villa di Pantelleria e lo aggiornassero costantemente. Solo nei giorni scorsi un improvviso malessere gastrico aveva destato qualche preoccupazione, senza tuttavia far presagire l'epilogo fatale.
Dalle origini piacentine al successo mondiale
Terzogenito di una famiglia piacentina, Giorgio Armani crebbe sotto l'influenza raffinata della madre Maria, che gli trasmise il senso estetico e la classe che avrebbero caratterizzato il suo stile. Dopo il trasferimento post-bellico a Milano, il giovane Giorgio intraprese gli studi di medicina alla Statale, attratto dall'idea di «occuparsi dei corpi». L'anatomia studiata sui banchi universitari si rivelerà fondamentale nella sua futura carriera, permettendogli di comprendere meglio di altri come valorizzare i corpi «reali».
Nel 1957, dopo l'esperienza militare e l'abbandono dell'università, approdò alla Rinascente iniziando dalle vetrine. Fu proprio la sofisticatezza dei suoi allestimenti in corso Vittorio Emanuele ad attirare l'attenzione di Nino Cerruti che nel 1964 gli affidò una linea del suo marchio. Nel frattempo aveva incontrato Sergio Galeotti, giovane manager che divenne il perfetto complemento alla sua creatività.
La rivoluzione dello stile
Nel 1975 nacque ufficialmente la Giorgio Armani, segnando l'ingresso di un termine destinato a fare storia: «stilista». «Io non sono né un couturier né un sarto ma mi sentito uno che crea uno stile, uno stilista», dichiarò coniando una definizione destinata a rivoluzionare il linguaggio della moda.
La sua intuizione geniale fu comprendere che uomini e donne «non erano più quello di una volta». Corpi e stili di vita erano cambiati, ma l'abbigliamento rimaneva anacronisticamente pesante e costruttivo. Armani "svuotò" letteralmente i vestiti: decostruì le giacche e alleggerì i pantaloni maschili, vestendo le donne pensandole «sedute a una scrivania o di corsa a prendere un taxi».
La consacrazione hollywoodiana
Il 1980 segnò la svolta internazionale quando il regista Paul Schrader lo contattò per "American Gigolò": «Venne a Milano con John Travolta e io accettai», raccontava divertito Armani, rivelando che inizialmente il protagonista non doveva essere Richard Gere. Il successo del film negli Stati Uniti fu clamoroso, aprendo le porte al mercato americano.
La definitiva consacrazione arrivò nel 1982 con la storica copertina di Time, ottenuta in soli sette anni dalla fondazione del brand. «La copertina può soddisfare la mia vanità, ma è l'attenzione che hanno dedicato al mio lavoro che mi dà grande piacere professionale. Hanno capito - senza la sufficienza che spesso usa chi parla di moda - il valore di un impegno che non consiste nel disegnare qualche modello, ma nel cercare continuamente di adattare un modo di vestire e di vivere, vivere, vivere, un'idea a una possibilità di riproduzione industriale», commentò con la consueta lucidità analitica.
L'impero e la filosofia del brand
Da quel momento iniziò una crescita inarrestabile: Emporio Armani, profumi, casa, beauty, hotel, Ea7, collaborazioni cinematografiche, pubblicazioni, mostre, occhiali, il Silos, l'alta moda Privé. Un impero costruito attorno a una visione coerente della moda, mai immobile ma sempre fedele ai principi fondamentali. «Lo stile», sosteneva, «è eleganza, non stravaganza. L'importanza è non farsi notare, ma ricordare».
Il percorso non fu sempre lineare. La morte improvvisa di Sergio Galeotti il 13 agosto 1985 rappresentò uno spartiacque fondamentale. Da «stilista» divenne «stilista imprenditore»: «Ho cercato di riempire il grande vuoto lasciato da Sergio con l'irruenza tipica di un naif. Ho superato ostacoli, affrontato complicazioni, ho tentato di chiarirmi le idee, ho voluto scoprire i miei punti deboli».
Con determinazione ferrea prese in mano le redini dell'azienda, diventando il primo ad arrivare e l'ultimo a lasciare l'ufficio, sempre attento a spegnere personalmente le luci. «Ho dato tutto e rinunciato alla mia vita per il mio lavoro», confessava.
L'eredità e il futuro
Nonostante le numerose offerte di acquisizione ricevute dagli anni Novanta fino al 2024, Armani resistette alle lusinghe del mercato. «L'azienda porta il nome del suo creatore e questo genera un legame fortissimo che sopravvive alla cessione del brand. E dello stesso mercato che esige la presenza del creativo e identificare in lui la creatività, il controllo e l'assidua attenzione», spiegava la sua filosofia imprenditoriale.
Negli ultimi anni aveva meticolosamente pianificato la successione, affidando l'eredità stilistica alla nipote Silvana Armani e al compagno Leo Dell'Orco, formalizzando tutto attraverso la Fondazione. Con entrambi aveva condiviso gli applausi negli ultimi show, quegli applausi che «amava, esigeva, meritava».
«Perché dovrei fermarmi o "fregarmene"», aveva risposto l'anno scorso a Parigi. «Io sono il mio lavoro se lo facessi significherebbe che non m'importa nulla di me». «Ogni giorno dal mio lavoro imparo qualcosa», ripeteva fino agli ultimi giorni, incarnando perfettamente la sua filosofia di vita.
Le ultime parole affidate ai social media riassumono l'essenza del suo lascito: «Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e per la realtà. È da lì che tutto comincia».
La camera ardente sarà allestita presso l'Armani/Teatro in via Bergognone 59 a Milano, visitabile sabato 6 e domenica 7 settembre dalle ore 9 alle 18, permettendo al pubblico di rendere l'ultimo omaggio al genio che ha ridefinito l'eleganza italiana nel mondo.
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