Nuova denuncia che arriva dal calcio giovanile, riportata dal quotidiano "Il Gazzettino". Le parole feriscono più di qualsiasi tackle. Inizia sempre con una battuta apparentemente innocua, pronunciata con il sorriso sulle labbra: commenti sulla statura, sulla velocità, sulle capacità tecniche. Ma quello che sembra uno scherzo si trasforma rapidamente in un peso insostenibile, alimentando dinamiche di esclusione e sofferenza psicologica che lasciano ferite profonde nell'animo di un bambino.
È quanto accaduto a Giovanni, nome di fantasia per proteggere l'identità di un ragazzino di dieci anni tesserato con un'associazione calcistica del territorio montebellunese. La sua storia è emersa attraverso una dettagliata lettera che i genitori, assistiti da un legale, hanno inviato ai dirigenti della società sportiva per denunciare una situazione degenerata oltre ogni limite.
Il caso ha origine dalle decisioni tecniche dell'allenatore, che ha progressivamente escluso il bambino dalle competizioni ufficiali. "Nostro figlio è stato progressivamente escluso dalle partite dall'allenatore che ha motivato tale decisione con la sua statura fisica ritenuta insufficiente", si legge nella missiva firmata dai genitori del piccolo calciatore.
Questa scelta tecnica ha innescato una spirale di conseguenze devastanti per il ragazzo. L'atteggiamento dell'allenatore ha infatti legittimato comportamenti di prevaricazione da parte degli altri componenti della squadra, creando un clima di sistematico bullismo ai danni del bambino.
"Questa condotta ha innescato gravi conseguenze, tra cui atteggiamenti di bullismo da parte di altri bambini della squadra che lo hanno preso di mira con scherzi pesanti. Tali episodi si sono verificati più volte all'interno dello spogliatoio, evidenziando una preoccupante mancanza di supervisione. Inoltre, in diverse occasioni, alcuni compagni lo hanno tirato per i capelli dicendogli 'sei scarso'", denunciano i genitori nella loro comunicazione.
L'emarginazione non si è limitata alle gare ufficiali, ma si è estesa anche agli allenamenti quotidiani. Il bambino veniva sistematicamente isolato dal gruppo, costretto a correre da solo e privato della possibilità di partecipare attivamente alle esercitazioni collettive. Una forma di esclusione che ha minato profondamente la sua autostima e il suo rapporto con lo sport.
Gli effetti psicologici di questa situazione hanno rapidamente varcato i confini del campo da gioco, manifestandosi nella vita quotidiana del ragazzo. "Il pesante impatto psicologico di queste continue esclusioni e di tali atteggiamenti di bullismo è profondamente preoccupante: al rientro a casa manifesta sempre più frequentemente malessere, nervosismo, reazioni di rabbia e pianto, evidenziando un evidente disagio emotivo", scrivono i genitori, testimoniando il dolore di chi assiste impotente alla sofferenza del proprio figlio.
La famiglia aveva tentato di affrontare la questione attraverso il dialogo diretto con i dirigenti della società, sperando in un intervento risolutivo. Tuttavia, questo approccio costruttivo ha sortito l'effetto opposto, aggravando ulteriormente la posizione del bambino all'interno del gruppo squadra.
"A seguito della segnalazione dello stato di disagio di nostro figlio in un colloquio personale con i dirigenti della società, che avevano promesso di intervenire, le cose sono peggiorate. Nelle partite successive non è stato convocato e recentemente in seguito a un controllo impreciso del pallone, l'allenatore l'ha ripreso con la frase: 'Hai visto il motivo per cui non ti convoco'. Questa affermazione, pronunciata di fronte ai compagni, ha avuto un impatto devastante sull'autostima di nostro figlio, che ne è uscita azzerata, confermando in modo crudele il suo senso di esclusione e inadeguatezza", prosegue la denuncia.
La contraddizione tra i principi statutari dell'associazione e la realtà vissuta dal bambino emerge con forza dalle parole dei genitori. Lo statuto della società prevede infatti "il diritto di beneficiare di un ambiente sano", "il diritto di praticare sport in assoluta sicurezza", "il diritto di non essere un campione" e "il diritto di essere circondato ed allenato da persone competenti" - tutti principi sistematicamente violati nella vicenda.
L'emarginazione ha raggiunto il culmine quando l'esclusione si è estesa anche al di fuori del contesto sportivo diretto. I genitori degli altri bambini della squadra hanno diffuso attraverso un'applicazione di messaggistica una canzoncina celebrativa che elogiava individualmente tutti i componenti del gruppo. Tutti tranne Giovanni, la cui assenza è stata sottolineata dal commento finale: "Spero di non aver dimenticato nessuno".
Di fronte a questa situazione, la famiglia ha deciso di intraprendere le vie legali, denunciando la società per inadempimento contrattuale. La richiesta di risarcimento, quantificata per ora nella sola quota di iscrizione annuale di 442 euro, rappresenta solo il primo passo di un'azione che potrebbe estendersi fino al Tribunale dei minori.
"In considerazione del grave inadempimento contrattuale per non aver garantito un ambiente sano e la piena partecipazione alle attività sportive", si legge nella conclusione della lettera, che evidenzia come lo sport giovanile possa trasformarsi da opportunità di crescita in fonte di trauma quando mancano la competenza e la sensibilità necessarie per gestire situazioni delicate.
Questa vicenda solleva interrogativi profondi sul ruolo educativo dello sport giovanile e sulla responsabilità di chi ha il compito di guidare la crescita dei più piccoli attraverso i valori sportivi.
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