Piero Braglia, ex allenatore di Rimini e Perugia, ha rotto il silenzio dopo la fine della sua breve e sfortunata esperienza sulla panchina umbra, terminata con le sue dimissioni. Intervenuto ai microfoni di A Tutta C su TMW Radio, il tecnico ha analizzato il periodo complesso, offrendo la sua prospettiva sulla crisi del Grifo e toccando temi delicati del calcio italiano, compresa la tecnologia in campo.
La conversazione si è aperta sulla stagione, che non sembra aver sorriso all’allenatore in questo avvio. Braglia ha subito voluto fare una netta distinzione tra le due esperienze: «Rimini mi scusi ma Rimini io che c'entro. Io non c'entro niente a Rimini proprio niente, anzi appena mi sono reso conto di alcune cose me ne sono venuto via. Mi sembra che le difficoltà ce le hanno tuttora anche se mi dispiace per i ragazzi».
Ben diversa, invece, la situazione a Perugia. «Perugia è un'altra cosa», ha affermato, riconoscendo il peso dei risultati negativi: «chiaramente ci abbiamo messo tanto, ci abbiamo messo cinque partite e cinque sconfitte». Per Braglia, la decisione di lasciare è stata una scelta di onestà professionale: «secondo me era giusto fare un passo indietro perché quando non riesci a incidere in una certa maniera è giusto farti da parte».
Interrogato sul fatto che la colpa non debba ricadere sempre sull'allenatore, Braglia ha chiarito che nessuno aveva prospettato un esonero: «A me nessuno mi aveva detto che potevo essere esonerato, io parlavo tranquillamente prima e dopo la partita con il direttore che era Meluso». La sua scelta è maturata dalla consapevolezza che le difficoltà si erano cronicizzate in un solo mese, «e se non riesci a risolvere in una certa maniera se le trascini dietro».
L'allenatore ha motivato le sue dimissioni con la convinzione che non ci fosse più tempo per trascinarsi la situazione, un gesto dovuto «né per la città né per i tifosi». «È giusto che uno faccia un dato che a me piace lavorare, mi piace portare avanti le mie cose e quando vedi che fai fatica a farle le sue cose è giusto che si fa da parte». Ha poi riconosciuto che la responsabilità è di tutte le componenti, ma nel calcio italiano, a pagare è quasi sempre il tecnico: «chi paga poi non nel mio caso perché sono stato io ad andarmene è l'allenatore, funziona così soprattutto in Italia funziona così meno all'estero ma in Italia è così».
Braglia ha espresso grande riconoscenza per lo staff e la squadra: «Sono arrivato, posso solo ringraziare lo staff che c'era che si è calato completamente nelle mie corde, abbiamo fatto secondo me anche un ottimo lavoro che poi mi auguro per il Perugia che paghi anche il futuro». L'ex tecnico ha sottolineato che i giocatori del Perugia meriterebbero risultati migliori, ma ha ribadito l’esistenza dell’imponderabile nel calcio.
Per Braglia, è cruciale che tutti si confrontino con la realtà: «il calcio a volte c'è dell'imponderabile, a volte ci sono situazioni che non riesci a venirne fuori allora è giusto che uno anche per rispetto dei tifosi della piazza quando vedi che ci sono queste difficoltà è giusto che fa un passo indietro anche per mettere un po' tutti davanti alla realtà». La classifica è impietosa, e per questo «è giusto che ognuno di noi si faccia un esame di coscienza, io l'ho fatto e ho fatto quello che dovevo fare secondo me».
Riguardo alla crisi, che appare più mentale che tecnica, Braglia ha liquidato l'idea che i nomi altisonanti possano bastare: «Sì ma con nomi non va da nessuna parte io ho vinto diversi campionati partendo sempre da non favorito». In campo serve ben altro: «ci va la gente che corre che è disponibile al sacrificio, ha la voglia di andare oltre, ha voglia di metterci il cuore». L'appello ai giocatori è chiaro e urgente: «devono capire che sono a un punto di non ritorno devono unirsi, fare le cose per bene e venire fuori tutti insieme da uomini quali sono».
Braglia ha anche messo in guardia sulla pericolosità di un’eventuale retrocessione in Serie D, che complicherebbe i piani societari: «vincere non è mai facile, ne vince una di un girone, c'è sempre l'eventuale sorpresa». Ha citato esempi storici come Siena e Livorno, che dimostrano come sia difficile uscire subito dai campionati inferiori. L’ex tecnico si è detto convinto che «il Perugia non meriti di retrocedere nel senso della città, del nome, della gloria, della storia», ma ha ricordato che solo il presente conta. Con i nuovi innesti in dirigenza e in panchina, «io gli auguro che riescano in qualche maniera a venirne fuori da una situazione che onestamente non è facile, ma sono convinto che da lunedì faranno il modo da poterne venire fuori».
Infine, Braglia ha espresso la sua posizione sull'utilizzo della tecnologia, il Video Supporto Arbitrale (FVS), in Serie C: «A me non piace onestamente non mi piace perché vedi solo la parte finale della cosa c'è una telecamera e basta». Le sue riserve riguardano la marginalità delle immagini e le interruzioni troppo lunghe che stanno snaturando lo spettacolo: «Non lo so a me non piace onestamente non piace c'è troppe interruzioni è solo marginale l'immagine a volte non si rendono nemmeno conto di quello che vai a chiedere». La lunghezza dei check arbitrali è eccessiva, «fermare le partite per 5-8 minuti da recuperi 15-20 minuti è cambiato un po' troppo e secondo me non sta aiutando anche perché uno che viene a vedere una partita sta fermo 10 minuti ma che vedo». Il tema resta aperto, ma per il tecnico la soluzione non è nella tecnologia attuale, bensì nell’unione e nel lavoro della squadra: «il campo devi solo correre, non parlare».
Autore: Redazione Notiziario del Calcio / Twitter: @NotiziarioC
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