LA VITA IN BIANCOROSSO. Alla fine devi diventare per forza un ragazzo un po' loco, matto, solo vedere sbattuto il tuo nome e il tuo numero nel riquadro di almeno due squadre bianconere quando impazza lo score del passato non troppo lontano che fa parte della girandola di figurine appartenente a un cavalluccio detestato nell’ambiente biancorosso. Questo è il tratto distintivo del professionista che divora sogni e rilancia speranze. Ma devi essere anche un ragazzo retto e coscienzioso se ti affidano la fascia da capitano del club in cui hai messo radici, perché poi le chiacchiere si dissolvono nell’aria e in una realtà che ha un suo tratto di dolce, godibile marginalità come Rimini ti senti perfettamente a tuo agio non solo come colui che vi è nato in questa città ma anche da calciatore. Essere Thomas Lepri è una condizione dello spirito: svegliarsi e lavorare qui a Rimini e non altrove, condannato semmai a girare nei desideri altrui e a restare concretamente nello stesso luogo dove è nato per tirare avanti una baracca che va salvata e salvaguardata in ottica presente e futura. Se in estate è passato nella mente di qualcuno, indossando anche solo per un attimo una maglia diversa, dal colore stonato non lo possiamo sapere, risulta esercizio complicato quanto, per alcuni aspetti, inutili finendo in un vortice da elenco telefonico quando la gente richiede quelle pagine gialle rappresentanti immediatezza e consultazione sulle persone da chiamare e da indicare tra i possibili leader in una stagione dove c’è da salvarsi. Il riferimento alla metodologia passata serve a delineare il contesto, a far capire che il buon difensore, ha le moderne fattezze di un barbiere ammirato e conteso passato a un look dai capelli corti ai tempi del Cesena a quello attuale stile Batistuta. Ma il look più bello appartiene a quello che calza a pennello il piede che mette in cascina il secondo goal in stagione ma che soprattutto fornisce al Rimini la vittoria esterna sul campo del Perugia, la seconda consecutiva se si conta anche quella dello scorso anno (1-4) più o meno ottenuta nello stesso periodo. Preso da parte, trattato come un figlio, applaudito sempre e costantemente anche nei momenti bui e nelle difficoltà iniziali da chi ora non c’è più come il collega Roberto Gabellini (in passato inviato del Corriere dello Sport) spentosi esattamente un anno prima e che oggi quel pallone in fondo alla rete deve averlo soffiato anche lui. La festa ora è completa.
IL MOMENTO. Nella settimana in cui ti precipita tutto addosso passando dalle quote bloccate dall’ex presidente Rota e dal “controllore” Buscemi, dal potere tolto all’attuale proprietaria Giusy Anna Scarcella, al nuovo deferimento con incremento della penalizzazione anziché una possibile scontistica, la squadra rischierebbe di piegarsi, invece diviene ancora più forte contro tutto e tutti. A Perugia vince uno scontro diretto, rientra nei giochi play out e se non fosse per la maledetta penalizzazione oggi avrebbe dieci punti in classifica, forse potrebbe sognare qualcosa di grande, nessuna violazione, legittima aspirazione. Il Rimini in questo campionato avrà una vita in accelerazione, con il pericolo di fermarsi o semplicemente di illudersi, perché lo scarto tra le promesse e la realtà a volte è troppo evidente, e poi magari ci si mettono le etichette a fare peggio, perché quelle non si tolgono facilmente. L’importante è rimanere costanti senza accendersi e spegnersi con la stessa frequenza di una candela al vento. Il tecnico D’Alesio seppure giovane ha dato una vera identità a questa squadra, insegnando loro il segreto dell’applicazione, il senso della libertà con lo sgombero della mente dai cattivi pensieri ma soprattutto quello che riserva una speranza è quella franchezza notata che ha una rilevanza quando c’è una via da imboccare in fretta, perché poi buttare all’aria tanto sacrificio produce solo tristezza e un senso fastidioso di spreco, di rimpianto e il Rimini e a Rimini di cose del genere ne sono state viste già tante. Quella di Perugia è la vittoria di squadra, della gente, è l’ennesima speranza che si riaccende in vista di un solo obiettivo. Prendere o lasciare, percorso non adatto ai deboli di cuore.
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