Dieci vittorie, un pareggio, 37 reti realizzate e 5 subite con il maggior numero di fatti e la media punti più alta dalla serie A alla serie D. Dopo anni di delusioni e disillusioni, di spalti semi vuoti, il Potenza calcio – in cima alla classifica del girone H della serie D - sta dimostrando che nulla è impossibile. La città è letteralmente in delirio. Nello stadio Viviani sono tornati i bambini, le famiglie, le donne. Nell’area “vip” si può gustare il brunch della domenica. L’artefice del “miracolo” calcistico potentino è Salvatore Caiata, presidente della società da luglio di quest’anno. Laureato in Scienze bancarie, imprenditore nel settore della ristorazione e immobiliare, si divide tra Potenza e Siena, dove ha studiato e si è costruito una famiglia.
Salvatore Caiata, come è arrivato alla dirigenza del Potenza calcio?
Ho sempre avuto una passione per le squadre di calcio. La mia tesi di laurea era proprio sulla gestione professionale delle società sportive. Da potentino, legato al Viviani, al Potenza, alla città e avverso al senso di rassegnazione del capoluogo, quando ho avuto la possibilità di provocare una scintilla per un possibile riscatto, mi sono buttato. Inizialmente mi avevano chiesto di entrare in quota societaria con altre persone, poi questa fase non è andata a buon fine, si è creato un piccolo vuoto e con altri due soci il 5 luglio è partito il progetto, un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia delle società di calcio.
Un ritardo che dai risultati, però, è stato recuperato alla grande
Abbiamo lavorato molte ore per tanti giorni, a ritmi forsennati come sono i miei. Perché io dormo pochissimo, 4 ore a notte, e lavoro quasi 18 ore al giorno, dividendomi tra Potenza e Siena. Passo i primi tre giorni della settimana a Siena e il resto a Potenza
Come trascorre le sue giornate nel capoluogo lucano?
Allo stadio e per il Potenza Calcio dalle 6 del mattina alle due di notte
Quali sono i suoi ricordi del Potenza calcio da bambino e poi da adulto?
I ricordi più belli sono quelli fuori dallo stadio. Io ho sempre abitato a Montereale, quindi non molto lontano dello stadio Viviani, a 150 metri in linea d’aria. I ricordi più belli sono i boati che si sentivano ai goal la domenica.
Ha costruito una squadra per vincere. Come ha deciso il team?
Quando abbiamo preso la società non avevamo nemmeno un tesserato, nessun giocatore in rosa. Io sono un istintivo. Scelgo molto velocemente e sulla base delle sensazioni. Sulla scelta del mister ho dovuto riflettere di più. Nell’equilibrio della squadra è un elemento fondamentale. Sono molto contento della scelta fatta. Nicola Ragno è un grande professionista per la categoria. Del resto noi stiamo attrezzando una compagine che ha dei canoni al di sopra, a partire dallo sponsor Nike. Il punto di forza, però, sta nel fatto che siamo una famiglia: sono molto orgoglioso dei miei ragazzi
Ci sono giocatori che hanno anche storie importanti alle spalle, come il bomber Carlos França che ha vinto la sua battaglia contro il cancro e che nella partita contro il Manfredonia ha segnato la sua duecentesima rete
Carlos è stata una delle mie fissazioni dal primo giorno in cui ho preso la squadra. La coppia d’attacco doveva essere Siclari - Franca. Abbiamo costruito una squadra di uomini prima che di giocatori. Con il mister abbiamo seguito un iter anglosassone. Le società di calcio sono gestite in Italia da procuratori, direttori sportivi, che costruiscono le squadre a tavolino. Noi abbiamo contattato personalmente i giocatori, uno per uno. Franca, poi, è un ragazzo eccezionale dal punto di vista umano otre che tecnico, lo dicono le sue prodezze andate agli onori della cronaca, a partire dalla sforbiciata al Cerignola ripresa anche da “Striscia la notizia".
Per quanto riguarda gli sponsor la Nike è un risultato importante ma allo stesso tempo lei è riuscito a mettere insieme diverse realtà produttive locali solide, dalla storica Gassosa Avena al recente main sponsor Venum
La Nike è stato un obiettivo raggiunto grazie alle mie conoscenze ma soprattutto grazie a un progetto di gestione a cui la grande griffe ha creduto, capendo che avremmo avuto un approccio non prettamente dilettantistica. Per quanto riguarda gli altri sponsor, rientrano nell’obiettivo di restituire fiducia e vitalità alla città. Il primo giorno dissi: da mosche dobbiamo diventare miele. In questi mesi questo processo si è innescato. Quello che credo debba ancora succedere è che le attività produttive locali importanti, che entrano nei consumi quotidiani delle persone, decidano di entrare a far parte di questo progetto. Chi trae profitto e sostentamento economico da una realtà ha il dovere, secondo me, di contribuire alla socialità delle iniziative di quella comunità. Il Potenza oggi non è solo una squadra di calcio ma un progetto di aggregazione sociale e di condivisione, di entusiasmo. La cosa che più mi gratifica non è il numero delle vittorie o dei gol ma l’entusiasmo che vedo nelle persone. Vedo i bambini uscire dalla scuole con la sciarpa del Potenza al collo. Accendere questo senso di appartenenza e condivisione in una comunità è impagabile.
Fin dalla prima partita il Potenza ha registrato il tutto esaurito negli spalti con un boom di abbonamenti. Se lo aspettava?
No, io mi aspettavo pubblico perché Potenza è una piazza affamata di calcio. Ovvio che il risultato sportivo incrementa l’entusiasmo perché venire allo stadio e vedere una squadra che gioca bene e fa tanti gol è più divertente. Noi abbiamo cercato di trasformare la partita in evento, un percorso che porta ad avvicinare le famiglie, le donne.
C’è l’area vip, un’altra novità per il Potenza, con l’accoglienza, il panino, il punto ristoro
Si, abbiamo fatto anche dei pranzi, dei brunch pre-partita e poi c’è un’area riservata solo ai partner commerciali, volta a costruire una rete di relazioni che poi possa tornare utile agli stessi
Come è cambiato il suo rapporto con la città e con i cittadini?
In questo momento è di amore folle, di carica. Mi riconoscono per strada, mi chiedono foto, scambiamo battute, chiacchierate. C’è un grandissimo senso di appartenenza. Non credo dipenda da me ma dalla voglia di ritrovarsi in dei modelli che diano forza e carica. Io oggettivamente sono una persona grintosa. Avendo origini modeste e avendo vissuto Potenza nella sua semplicità ma con la speranza di migliorare, ho sempre avuto “l’occhio del leone”, come dico io. E nella vita torna tutto. Il nostro simbolo è il leone e per me rappresenta questa voglia feroce di emergere, imporsi, fare le cose. E poi io sono leone ascendente leone.
Lei ha anche un progetto più ampio sulle giovanili
Abbiamo messo insieme diverse realtà associative giovanili, contando quasi 400 ragazzi e sperando di diventare attrattori anche verso la provincia. La squadra è operativa, noi partecipiamo a tutti i campionati regionali già da quest’anno. La scelta di Carlos Franca va anche in questa direzione. Con lui abbiamo fatto un discorso diverso sia per la stagione in atto sia per quella successiva e per un suo impegno futuro nell’ambito dello sviluppo del settore giovanile. Ci sembra un modello perfetto per i ragazzi. È l’idolo di tutti i ragazzini della città per le sue prodezze in campo ma soprattutto rappresenta come si possa essere campioni in campo vivendo una vita sana al di fuori, non necessariamente avendo la velina e la Ferrari
Ha dei gesti scaramantici?
Sono estremamente scaramantico. Ho un jeans che mi ha donato un amico proprietario di una grande azienda per buon auspicio prima del campionato e che indosso a ogni partita con lo stesso zainetto, altro regalo di questa estate. E poi questa canzone che è un po’ l’inno di tutte le mie iniziative imprenditoriali, che ho fatto suonare allo stadio ed è diventato il tormentone della città: “Se mi lasci non vale” che i tifosi tra l’altro hanno trasformato nel coro “Se non segni non vale”
Com’è il rapporto con le tifoserie e in particolare con gli Ultrà?
Eccezionale. Pur non incontrandoci mai, condividiamo. Non ci siamo mai presentati ufficialmente ma loro vedono la mia passione e io apprezzo quello che fanno, grandi coreografie e grande pubblico anche fuori casa.
Ha giocato molto sull’immagine del Potenza calcio, anche prima della scesa in campo, attraverso lo spot del celebre trio comico lucano “La Ricotta” e riprendendo il tradizionale slogan “U Putenza è semb nu squadrone”
I tifosi del Potenza non sono solo tifosi del Potenza. Il Potenza si tifa per sport e come stile di vita, appartenenza a una comunità. Lo slogan lo rappresenta bene: è irrilevante il presidente, l’allenatore, la squadra che c’è quest’anno, il Potenza è “nu sqadron” sempre, perché è la mia fede, la mia città, la mia appartenenza. Anche La Ricotta è espressione di questa appartenenza a un popolo, alle sue radici. Una cosa creata così, con leggerezza. Non è una operazione di marketing ma di divertimento. Io mi diverto tantissimo.
Il Potenza calcio ha anche messo in campo qualche iniziativa sociale
Tutte le domeniche 130 bambini delle scuole elementari vengono allo stadio gratuitamente. Regaliamo un gadget e la merenda, facendoli vivere un pomeriggio che genera una fede. Sono i tifosi puliti, buoni, del Potenza. Lo stadio è aperto a tutti. Abbiamo ospitato dei pazienti dell’ospedale Don Uva e anche la Caritas ha portato delle persone. Abbiamo l’obbligo di contribuire e renderci utili.
Obiettivi futuri?
Fortificare la società e renderla duratura nel tempo. Il mio obiettivo è vincere. Mi piace vincere. Ma dobbiamo essere consapevoli che non è matematico.
Guardando al futuro, cosa ne pensa della possibilità di creare un nuovo
stadio?
È prematuro pensarci adesso. Però dobbiamo arrivare pronti a un eventuale, ci auguriamo, passaggio di categoria
C’è qualcuno che l’ha criticata?
Al momento no e la cosa mi preoccupa. Però c’è qualcuno che forse percepisce questo mio entusiasmo una minaccia. In molti mi hanno chiesto se voglio fare il sindaco o altro ma non mi interessa. Io voglio fare il presidente del Potenza calcio.
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