Nel calcio regionale, quello che bolle nei campi di Serie D e Serie C, ci sono figure che non fanno rumore ma che scrivono pagine di storie. Ettore Meli è una di queste. Un uomo di campo, un architetto sportivo. Ricercato, stimato, e negli anni scorsi giustamente premiato tra i migliori direttori sportivi della categoria, Meli nelle sue ultime avventure ha lasciato un segno in piazze come Sant'Agata e Vibonese.
Oggi, colui che ha portato alla luce diversi talenti e che sa come far coesistere bilancio ed ambizioni, è temporaneamente ai box, un lusso che il calcio nostrano non dovrebbe permettersi. La sua esperienza e la sua visione sul mercato e sulle dinamiche del campionato, sono un patrimonio prezioso. Lo abbiamo raggiunto per una intervista esclusiva a cui si è gentilmente concesso.
Direttore, prima di tutto cosa sta facendo in questo periodo?
«Lavoro a parte, sto girando molto, guardo partite: tanta serie D ma anche Lega Pro. Osservo calciatori... insomma cerco di restare informato. Chiaramente continuo a guardare partite anche quando sono a casa perché è una cosa che amo ed è la mia passione».
Qual è il progetto ideale che la riporterebbe immediatamente in campo. Ci sono dei requisiti non negoziabili?
«Assolutamente si. Io voglio una società che mi dia l'opportunità di lavorare, che indichi chiaramente un obiettivo ed un budget lasciandomi poi libertà di manovra. Negli ultimi quattro campionati ritengo di aver fatto dei buoni risultati con fondi contenuti. A Sant'Agata non abbiamo mai speso più di duecentomila euro di budget giocatori. L'anno scorso a Vibo, in un girone veramente tosto, abbiamo speso quattrocentomila euro arrivando davanti a società come Nissa, Pompei, che aveva investito tanto, l'Acireale, che poi si è salvata all'ultima giornata ma partiva con ambizioni diverse... ».
Quando poi si costruisce male, di solito poi i risultati si vedono. Giusto?
«Certo. Il campo non perdona. Se non hai competenze e fai scelte scellerate, poi il campo non ti perdona».
Oggi è più difficile lavorare come diesse in Serie D?
«Si, ed io mi sono dato una spiegazione. Da tanti anni sento dire da quelli più grandi di me, che venti-trenta anni fa c'era un livello nettamente superiore. Partiamo da questo presupposto. Ed è vero. Però la differenza più netta che vedo rispetto al passato è che prima c'erano i presidenti. Quelli che, intanto, mettevano soldi ed investivano. Oggi, invece, tra la crisi economica ed il fatto che le società fanno pessime gestioni, non ci sono più i presidenti. Quello che una volta era un ruolo da mecenate oggi è diventato un mestiere. Ci sono società che hanno presidenti che prendono gli stipendi perché col mondo del calcio cercano di viverci. E queste persone, di conseguenza, prendono direttori sportivi che "portano" soldi. In Sicilia ce ne sono diversi di questi personaggi. E per di più, questi personaggi collezionano fallimenti su fallimenti. La serie D non può essere questo, non si può ridurre a questo. Il massimo campionato dilettantistico è lo specchio del calcio che poi troviamo nelle categorie superiori. Vi garantisco che in Sicilia la situazione è da accapponare la pelle».
Quindi l'equilibrio che regna nel girone I di serie D dipende a questo punto dalla mediocrità?
«Non me ne voglia nessuno ma il livello è veramente scadente perché tale è il livello degli allenatori. Trent'anni fa l'allenatore era un gestore ma c'erano giocatori con gli attributi in campo. Oggi, il calciatore vuole il "maestro", l'allenatore bravo. Capace nella gestione, nell'adattarsi all’avversario, nel saper cambiare modulo, nel motivare i giocatori. Io penso che ci sia oggi un livello scadente come non mai. Ho assistito a delle partite dove non si sono fatti tre passaggi di fila, lo schema era sempre portiere, difensore centrale, braccetto e lancio lungo di cinquanta metri. E purtroppo, spiace dirlo, quasi tutte le gare che ho visto hanno avuto questo copione».
Ci saranno tecnici che apprezza del girone I...
«Raimondo Catalano del Savoia, Raffaele Esposito della Vibonese e Massimo Agovino da poco arrivato alla Gelbison».
Allora chi può essere il favorito per il salto di categoria?
«Molto dipende dalle società, dalla loro intenzione. Ci avviciniamo al calciomercato invernale e questo inciderà tanto su quello che sarà il girone di ritorno che è notoriamente un altro campionato. La classifica è cortissima. La Reggina, ad esempio, che sembrava tagliata fuori da tutto, domenica se dovesse battere l'Igea Virtus si porterebbe a quattro punti dall'attuale capolista. La prima società che capisce che le manca qualcosa e riesce ad intervenire, sia a livello di panchina che a livello di organico, anche con poco, secondo me può svoltare e vincere il campionato. È il momento di capire chi ci vuole provare davvero e se è pronto anche al dopo: a fare il salto sia a livello economico che organizzativo, perché poi la Lega Pro è davvero un altro campionato. Se devo dire chi lo può vincere direi Nissa, Reggina, Gelbison, Savoia, Vibonese ed Igea Virtus. Tutte queste per me lo possono vincere, chi lo vuole vincere è una domanda da fare tra un paio di mesi».
Uno degli argomenti caldi tra i dilettanti è la riforma del torneo di serie D. Otto gironi da 20 squadre e play-off che tornano nazionali ed assegnano una promozione diretta. Può essere una valida soluzione ai problemi che attanagliano il massimo campionato dilettantistico nazionale?
«La serie D è in grande difficoltà. Questo tipo di riforma serve ed esclusivamente a sanare un unicum legato alla questione play-off. Obiettivamente chi ha creato questo format ha fatto qualcosa di incredibile visto che l'unico campionato dalla Serie B alla terza categoria dove vincere i play-off non ti porta a nulla è attualmente la Serie D. Già, quindi, risolve un problema. L'altro problema che potrebbe risolvere questo tipo di riforma è legato alla competitività perché in linea teorica portando a venti ogni girone, ad esempio nel girone I ci sarebbero più campane e, di conseguenza, il torneo risulterebbe più competitivo. Per me la riforma doveva essere generale che coinvolgesse anche la Lega Pro ma, in ogni caso, sarebbe stata una riforma utile se si fosse diminuito il numero delle squadre. Questo non lo faranno mai perché in questo modo si perdono introiti».
Della Serie C cosa ha visto?
«Seguo il Siracusa, il Trapani. Ho avuto modo di vedere Catania-Salernitana. Sugli etnei dico che quest'anno la squadra è fatta su misura per il tecnico Toscano. Il Siracusa lo guardo con piacere perché ci sono dei ragazzi che ho avuto nei miei trascorsi come Giulio Frisenna e Carmelo Limonelli. Mi piacerebbe riuscisse a salvarsi ma non è facile anche se, secondo me, ha un ottimo allenatore. Allargando lo sguardo all'intero girone C, per me le favorite sono Catania, Salernitana e Benevento. Di queste tre per me i sanniti sono quelli che giocano il calcio migliore. Hanno un grandissimo allenatore, che fa un calcio offensivo. I problemi a cui può andare, invece, incontro il Benevento sono legati al fatto di essere una squadra più "giovane" delle altre due».
Inutile nascondercelo: facciamo sempre più fatica a far emergere giovani talenti nostrani. Che idea ha al riguardo?
«I motivi di questa crisi sono molteplici. Prima di tutto, come hanno dimostrato anche nella trasmissione del "Le Iene", c'è chi tra scouting, agenti e procuratori pensa ai propri interessi. Poi, al calcio giocano sempre meno giovani ed un altro male sono molti genitori che credono di avere sempre in casa il Cristiano Ronaldo della situazione. Per quella che è la mia esperienza, io penso che il giovane straniero sia molto più maturo dentro, perché probabilmente viene da situazioni di vita più difficili ed ha più fame. Gli italiani, invece, che in molti casi hanno forse qualità anche maggiori non riescono a farle emergere. A Sant'Agata ho portato ad esempio Klavs Bethers, portiere oggi al Catania, e lui non ha mai chiesto un passaggio a nessuno in macchina. Bethers partiva un'ora prima da casa a piedi, con lo zaino, arrivava al campo, il primo di tutti, faceva palestra, si allenava, finiva, rifaceva palestra, doccia e se ne tornava a casa a piedi. Non mi ha mai disturbato con richieste banali come il cuscino alto, il cuscino basso, la pasta scotta... Sicuramente bisogna farsi delle domande. L'italiano è più "viziato", passatemi il termine, poi ovviamente questo è un discorso generale. Sicuramente nello specifico ci sono delle eccezioni».
Autore: Redazione NotiziarioCalcio.com / Twitter: @NotiziarioC
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