C'è anche Andrea Mosconi tra gli allenatori che in questo periodo devono mordere il freno in attesa di poter tornare a fare ciò che a loro riesce meglio: allenare. Un tecnico che ha sempre fatto dell'aggressività del gioco uomo contro uomo, della verticalità, un vero e proprio marchio di fabbrica. I suoi ragazzi sono come "purosangue", scattanti e con la "gamba cattiva" come ama dire lui stesso.
Classe 1967, Mosconi è stato accostato appena la scorsa settimana alla panchina del Sora. Per alcuni era imminente l'accordo tra le parti ma poi, come noto, alla fine sulla panchina bianconera si è seduto Domenico Giacomarro. Allo stesso allenatore si è rivolta la nostra redazione per saperne di più, e non solo di questo.
Mosconi nuovo allenatore del Sora, c'era un fondo di verità?
«Si, confermo. C'è stato un abboccamento con loro. Sinceramente ero anche molto stuzzicato dall'idea perché per me si tratta di una buona squadra inespressa. Si tratta di una piazza di quelle che piacciono a me, con una tifoseria calda e sognano di tornare ad alti livelli. Calcisticamente una bella sfida. Mi aveva chiamato il direttore sportivo, ci siamo sentiti, avevo dato una disponibilità di massima a parlarne. Poi hanno fatto altre scelte».
La chiamata del Sora probabilmente si lega anche al suo profilo che nel girone "F" ha maturato tantissima esperienza...
«Penso di si, credo di essere tra gli allenatori che conosce meglio questo girone. Lo seguo sempre con attenzione, guardo diverse partite, così come conosco bene anche il girone E di serie D».
La scorsa stagione è subentrato in corsa a Termoli, in una situazione di classifica veramente critica, ha risollevato la squadra conquistando 19 punti, e poi arriva l'allontanamento. Cosa è successo?
«È il mio rammarico. Arrivai con la squadra in piena zona retrocessione, ad un paio di gare dalla fine del girone d'andata. Nella prima partita, vinta contro l'Atletico Ascoli, eravamo undici giocatori contati e fino a fine dicembre siamo rimasti in quattordici. Riuscimmo a girare a dodici punti e di lì iniziò un grande lavoro. Fare mercato, insieme al diesse De Flilippis fu realizzata un’opera importante, riuscendo a completare la squadra a febbraio, riportare la squadra in condizione. Non è che diventi subito una squadra vincente, serve tempo, bisogna lavorare sui ragazzi. A livello fisico soprattutto, perché col mercato invernale tu prendi comunque gente che non ha giocato molto da altre parti o era svincolata. Non è qualcosa che si fa dall'oggi al domani. Abbiamo fatto coi ragazzi delle partite clamorose, anche quando col Teramo ad esempio abbiamo perso ma in campo abbiamo dominato un avversario in quel momento secondo in classifica. Inoltre realizzammo, pur essendo sprovvisti dell'intero reparto offensivo fino a febbraio, uno score di dieci risultati utili consecutivi conditi da diverse vittorie. Poi... non so cosa sia successo, non mi è mai stata data una spiegazione. È stato qualcosa di clamoroso sportivamente parlando. Ripeto, non so cosa sia successo ma è un grande rammarico perché si stava facendo un miracolo sportivo. Però anche in questo caso c'è stato un episodio che mi ha veramente fatto piacere».
Ce lo può raccontare?
«Il giorno del mio esonero praticamente tutti i ragazzi vennero a casa mia e stettero con me fino a notte inoltrata. E parliamo di una ventina di ragazzi, quindi anche chi non era titolare e non giocava con grande continuità. Un attestato di stima e di affetto del genere vale più di tutto, soprattutto nel nostro mestiere che di anno in anno diventa più difficile e si perde in tanti rapporti di facciata che di vero, di profondo, non hanno niente. È stata una bella soddisfazione».
Si era creato un bel gruppo.
«Assolutamente. Un gruppo di ragazzi lavoratori, che aveva acquisito una mentalità, un carattere e sono certo che se al gruppo della scorsa stagione si fossero aggiunti tre-quattro acquisti mirati, il mio Termoli quest'anno poteva giocarsi il campionato».
Nel suo curriculum c'è un dato che è di grande interesse: nelle squadre in cui ha avuto modo di lavorare con tanti giovani, li ha sempre valorizzati abbinando anche risultati importanti.
«Questo dice il mio percorso da allenatore. I cinque anni di Tolentino ne sono forse l'emblema, con budget di squadra sotto i duecentomila euro siamo riusciti a cogliere risultati importanti, addirittura centrare i play-off, due terzi posti, ed al contempo abbiamo ottenuto i premi di valorizzazione della Lega Nazionale Dilettanti. Una cosa che è riuscita anche col Fano, dove centrammo il successo sotto questo punto di vista e contemporaneamente vincendo la graduatoria "Giovani D Valore" del nostro girone».
A proposito di grandi imprese, stava compiendo un miracolo sportivo anche con la Fermana in serie C...
«A Fermo siamo stati ad un passo di qualcosa di veramente clamoroso. Arrivai ad otto giornate dal termine del campionato, con la squadra ultima in classifica staccata di otto punti. Vincemmo tre partite di fila, agganciamo la zona play-out. Poi ci fu la penultima partita persa contro la Juventus Next Gen che era uno squadrone, tanto che poi diversi di quei giocatori sono finiti in serie A».
Però quel lavoro le valse una attenzione importante. Sveliamo questo retroscena?
«È vero, mi arrivò la chiamata del Pineto e mi fu fatta una offerta per un biennale. Poi alla fine la cosa non andò in porto ma è stata davvero vicino dal concretizzarsi».
C'è invece in questi anni una scelta che non rifarebbe?
«Sì. Ed è successiva proprio all'esperienza con la Fermana. Sicuramente non sarei dovuto rimanere al Giulianova dopo il mancato ripescaggio in serie D. Non dovevo restare, e quello è stato il mio errore. Mi ritrovai dalla serie C all'Eccellenza. Però fa parte del percorso ed io sposai la piazza, perché è di quelle che professionalmente ti stuzzicano».
Un percorso lavorativo che l'ha portata anche a sedersi sulle panchine di Sambenedettese, Ravenna e Campobasso, club vissuti in tempi societariamente meno solidi del presente, ed ora tutte in Serie C. Come vede oggi questi club?
«Sono società importanti. A San Benedetto ho lasciato il cuore, mi sono accomodato su quella panchina 54 volte, perdendo quattro partite. Sono tutte e tre piazze dove si respira davvero calcio, a livello di pubblico non sono da C ma da serie B. Sono sfide difficili da accettare ma che poi ti ripagano in toto. Oggi sono tutte protagoniste nel girone B, stanno facendo bene, il Ravenna addirittura benissimo. Tre grandi piazze che quando c'ero io erano ancora ad uno stato embrionale rispetto a quello che sono adesso. Il rammarico in questo caso è stato il Campobasso, dopo cinque partite sono andato via ma non si può giudicare il lavoro di un allenatore dopo cinque partite. Non si può cominciare vincendole tutte. A Fano ricordo che, nel girone di ritorno, sulle ultime undici partite ne vincemmo dieci e dai play-off arrivammo in zona play-off che poi abbiamo vinto. Nel corso dell'annata due o tre partite storte capitano».
Prima si diceva del girone F di Serie D, cosa pensa di questa prima parte di stagione che vede l'Ostiamare capolista a punteggio pieno?
«L'Ostiamare l'ho seguita diverse volte. Ultimamente anche contro l'Atletico Ascoli e la Recanatese. Sono "a palla", si trovano in un periodo in cui riescono a massimizzare tutto quello che fanno. Stanno bene, partono forte, tutti giocatori di "gamba", ragazzi che vanno a tremila ed hanno una guida esperta in panchina. Si vede che è una squadra che ha idee, diciamo che l'unico dubbio è che non so quanto potranno durare. Quest'anno è un campionato diviso in due tronconi con cinque-sei squadre forti che fanno un torneo e le restanti che ne fanno un altro. L'Aquila, se fanno lavorare Pochesci, sono convinto arriverà fino in fondo a giocarsela con Ancona e Teramo. I rossoblù sono una squadra che mi piace, una squadra offensiva ed a gioco lungo arriverà. Lo stesso Atletico Ascoli risalirà perché ha una squadra importantissima. Le altre, del secondo troncone, hanno tutte qualcosa indietro e rischiano perché se sbagli due o tre partite rischi di trovarti dalle stelle alle stalle. Quindi bisogna lottare ogni domenica. Si tratta di un campionato equilibrato, bello, e resto convinto che insieme al raggruppamento "H", quello "F" è il girone più insidioso, più difficile dell'intera serie D. C'è differenza con gli altri gironi a livello sia tecnico che fisico».
C'è una domanda che ad un tecnico della sua esperienza non può non essere posta: è cambiato il mestiere dell'allenatore e se sì, in meglio o in peggio?
«È cambiato e decisamente in peggio. Questo perché l'allenatore ormai non viene più giudicato dal campo. Ci sono tanti interessi, allenatori che pagano per allenare, società che ti fanno enorme pressione per far giocare atleti che portano lo sponsor... nella mia esperienza ad esempio mi sono ritrovato a Poggibonsi, e quella era una società di "banditi". Una bella squadra, purtroppo però la metà portava i soldi. Poi è successo che la società cominciò a non pagare più, ci doveva essere il passaggio societario. Noi da ultimi vincemmo tre partite consecutive, nove punti, battendo la capolista che era l'Imolese di Francesco Baldini, la seconda in classifica e vincendo il derby con la Colligiana. Ci fu il passaggio societario, eravamo tutti contenti. Mi chiamò la nuova proprietà e mi esonerarono. Perché? Perché la nuova proprietà aveva comprato il club con i soldi che aveva dato loro il nuovo allenatore per prendere il mio posto. Ci rendiamo conto? Prima era tutto più vero, più "acqua e sapone". Ora l'allenatore è un uomo solo contro tutti. Bisogna sperare di trovare persone che vogliono fare calcio. Io sogno un calcio pulito. E per fortuna credo che società come le immagino io ancora ci sono. Che puntano sul settore giovanile, che vogliono valorizzarli, che non hanno secondi fini e secondi scopi».
Come il suo Tolentino.
«Esatto. Come il Tolentino. Anche a Fano ho utilizzato tutto il settore giovanile, come dicevamo prima abbinando la loro valorizzazione ai risultati della prima squadra. Fu una volontà dell'allora presidente Russo che mi disse che dovevamo puntare sui giovani del settore giovanile. E c'è voluto tanto lavoro perché lì partivamo da zero, abbiamo dovuto costruire. I giovani vanno fatti giocare per farli migliorare e crescere».
La prossima panchina sulla quale siederà Mosconi quale sarà?
«Quella di una società che ha il mio stesso DNA. La voglia di arrivare, una squadra fatta di gente che sogna di fare i calciatori, che non dorme la notte per la maglia che indosserà la domenica. Non come capita in certe piazze dove trovi persone con la pancia piena».
Autore: Redazione NotiziarioCalcio.com / Twitter: @NotiziarioC
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