Trovare un interlocutore preparato, schietto e critico con cui focalizzarsi sulle dinamiche del calcio nostrano, ed in particolare su quelle che stanno trasformando l'intero movimento è compito che diventa semplice se ci si imbatte nella figura di Vincenzo Feola. Classe 1967, un passato da calciatore professionista prima di intraprendere la carriera di allenatore che l'ha visto primeggiare in serie D conquistando due promozioni in Lega Pro con Savoia ed Akragas. Questa intervista con Feola tocca i nervi scoperti del calcio, trovando un professionista che, nonostante le difficoltà, è determinato a ripartire.
Cosa fa Vincenzo Feola in questo periodo di forzato riposo?
«Un allenatore vorrebbe sempre essere sul campo, fare il proprio lavoro. Peraltro io vivo di calcio. Non ci si può arrendere però alle difficoltà, penso che bisogna saper sfruttare e trasformare anche i momenti negativi in qualcosa di positivo. Personalmente sto studiando tanto, mi sono aggiornato e, naturalmente, sono sempre in giro e guardo tantissime partite. L'anno scorso sono stato da Pagliuca a Castellammare, questa stagione sono stato ospite della Juve Stabia ed ho osservato da vicino il lavoro di Ignazio Abate. Una settimana ho avuto lo stesso piacere a Bari. Alla mia età gli stimoli e le motivazioni le ho ritrovate proprio nello studio e nell'aggiornamento. Il nostro è un lavoro in continua evoluzione, quello che ritenevamo importante anni fa oggi magari è superato e non si può rimanere fermi. Questo non vuol dire che l'esperienza pregressa vada persa, anzi rappresenta quel plus che fa già parte del bagaglio di conoscenze di un allenatore. Io ho deciso di ripartire dallo studio delle nuove metodologie e filosofie di gioco perché voglio fare qualcosa di nuovo e di bello nella mia prossima avventura».
Qualche chiamata l'avrà sicuramente avuta. Vero?
«Non lo nego, però niente di veramente concreto. Solo chiacchiere».
È vero che il mestiere suo è cambiato e che sono cambiati anche i calciatori?
«Il discorso è un pochino ampio perché i giocatori forti, bravi, determinano sempre loro. Oggi è vero, un tecnico deve essere aggiornato, studiare, essere preparato, professionale. Poi tutto questo dipende sempre da loro, perché può sembrare una frase banale ma sono sempre i calciatori che poi vanno in campo. Oggi sa cosa è cambiato?».
Ce lo dica.
«Oggi il potere è nelle mani dei procuratori. Se passano due-tre partite ed un giocatore non gioca in una squadra, arrivano e decidono di spostarlo, soprattutto in D dove c'è il mercato sempre aperto e permette loro di far cambiare ad un loro assistito due o tre squadre nel giro di pochi mesi. Così le difficoltà per un allenatore aumentano».
Si è parlato anche del cambiamento dei Presidenti. Qual è il suo pensiero?
«Oggi i presidenti non sono più quelli di una volta. Parliamoci chiaro, si tratta di persone che hanno dei soldi da investire, gli piace il calcio ed entrando nel mondo del calcio pensano già di essere bravi, di capire di calcio, mentre noi, che in questo mondo ci siamo da 40-50 anni, sembriamo degli stupidi rispetto a loro che decidono e veniamo giudicati da queste persone. Il problema è proprio questo: essere giudicati da chi? Poi assistiamo a situazioni dove il presidente la direzione generale al figlio, il cognato fa il segretario, il genero deve figlio deve giocare...».
Parlando di calcio giocato, cosa ne pensa del Girone C di Serie C e della lotta promozione?
«Salernitana, Catania e Benevento, l'ho sempre detto dall'inizio, ed ora lo dice la classifica, per organici ed investimenti fatti secondo me si giocheranno il primo posto fino alla fine. Occhio pure al Crotone ed allo stesso Casarano che possono inserirsi in un discorso importante dietro a quello tre».
Un pensiero sulla "sua" Casertana?
«L'ho vista domenica nel derby, l'ho commentata e mi è dispiaciuto perché nonostante abbia fatto la partita, è come se avesse avuto un pochino di paura di vincere. La Casertana, sia come organico, sia come guida tecnica, è un'ottima squadra e anche lei potrà inserirsi ma sempre in un discorso di seconda fascia dietro a quelle tre».
Per quanto riguarda la Serie D, in particolare il Girone I, la classifica corta è sintomo di un livello più basso?
«L'attuale classifica corta la imputo alla Reggina e alla Nissa, perché la colpa è loro...».
Ci spieghi.
«Con gli organici che hanno, con gli investimenti che hanno fatto, mi sarei aspettato avessero scavato un solco già oggi rispetto alle altre. Per queste ragioni dovevano fare un campionato a parte. Non è un discorso che il livello è basso, ci sono delle ottime squadre e questo livellamento del girone permette a tutte queste cinque-sei squadre di poter lottare per vincere».
Lei ha vinto due volte questo girone. Qual è il consiglio per chi vuole vincere questo campionato?
«Chi vuole vincere per me deve fare la squadra subito all'inizio, non deve sbagliare i giovani, ma soprattutto oggi in questo campionato deve prendere gente che ha fame, che lotta, non deve prendere il nome, la figurina... Bisogna investire su giocatori che vogliono arrivare, emergere, crescere. E poi, secondo me, affidare le squadre a tecnici capaci, preparati, giovani così come anche allenatori che hanno vinto, che sono abituati a vincere».
Molte piazze blasonate faticano a uscire dalla D. La riforma del campionato può essere una chance in più?
«Io sono un fautore di questa riforma. Lo sto dicendo da dieci anni che l'attuale format del massimo campionato dilettantistico non va più bene. Parliamo di un campionato, fatto di nove gironi, dove solo la prima vince, tutte le altre perdono. Assegnare una promozione diretta attraverso i play-off aumenta la competitività del campionato e lo rende anche più credibile perché anche all'ultima giornata ci saranno tantissimi club coinvolti, magari al sesto o al settimo posto, che si giocheranno tutto per arrivare ai play-off che darebbe loro una ulteriore speranza promozione grazie alla coda post season che coinvolgerebbero altre trentasei squadre».
Ritiene che l'obbligo degli under in Serie D abbia influito negativamente sull'emersione dei talenti italiani?
«Sfonda una porta aperta, perché lo dico da quindici anni. Oggi in sede di mercato non si discute più di un giovane se è forte e bravo ma si dice: "Di che anno è? Un 2007? Allora può venire perché abbiamo bisogno di tanti giovani". A questo dobbiamo aggiungere che nelle scuole calcio purtroppo c'è tanta gente improvvisata. Non si parla più di istruttori ma di allenatori che alla fine devo dire cosa del tipo "Ho vinto con gli Allievi regionali". Questo significa che non si allena più per far crescere i giocatori, si allena per accrescere il proprio livello di appetibilità professionale. È ovvio che non andiamo più ai Mondiali. Non è possibile che non ci siamo ancora strutturati a livello di settori giovanili. Ai miei tempi, inoltre, si praticava tanto il calcio di strada, giocavamo per ore ed ore, affinando inconsapevolmente le doti tecniche. Purtroppo certe regole hanno portato i giovani ad essere impiegati non perché più bravi ma per obbligo, laddove prima c'era la qualità».
Le strutture sono un altro problema importante?
«Sicuramente si. Tutti gli altri paesi europei hanno le strutture. Io vi chiedo, se oggi la squadra campione d'Italia, il Napoli, non ha un centro sportivo, come possiamo immaginare lo abbiano squadre come Casertana, Salernitana o la Paganese? L'Albania, il Belgio, l'Olanda, sono tutte scuole all'avanguardia, per mentalità e cultura. Il loro obiettivo è far crescere e far giocare i ragazzi, e raggiungere i risultati tramite il gioco. Invece noi, in Italia, abbiamo una sola cosa: il risultato. Vieni giudicato in base al risultato, se vinci sei bravo, se perdi sei un'incapace. Agli allenatori non viene mai dato il tempo, non fai risultato per tre gare di fila e devi essere messo alla porta. Non si va a guardare il lavoro fatto e che si sta facendo. Così non cresceremo mai».
C'è una caratteristica a cui non rinuncerà mai nell'accettare una futura proposta lavorativa?
«La mia dignità. Quando toccano la mia dignità, il mio orgoglio e, soprattutto, offendono la mia intelligenza. io vado in bestia. Io chiedo sempre il rispetto dei ruoli. Io personalmente, Vincenzo Feola, cerco di fare il mio lavoro nel modo migliore, cercando di aggiornarmi, di lavorare, di essere all'avanguardia, di essere professionale e professionista e voglio il rispetto dei ruoli. La spina dorsale di una società è rappresentata dal presidente, dal direttore sportivo e dall'allenatore. Oggi mi sento un Feola diverso, perché alla mia età, non sono più giovanissimo, mi sono messo in discussione, mi sono aggiornato, ho studiato ed ancora studio perché mi appassiona e di imparare non si smette mai. Un carissimo amico mio mi ha detto ultimamente: "Tu, oltre ad avere l'umiltà di metterti in gioco, di studiare, di aggiornarti, dalla tua parte hai una cosa che non hanno molti altri: l'esperienza, le vittorie, il lavoro sul campo". Io mi auguro presto di poter tornare a lavorare e realizzare qualcosa di veramente bello sfruttano il mio bagaglio d'esperienza e le nuove conoscenze acquisite».
Autore: Redazione NotiziarioCalcio.com / Twitter: @NotiziarioC
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