«...Questo delle 166 squadre è un grandissimo risultato. Anche a livello regionale, di Eccellenza, Promozione e Prima Categoria, stiamo ottenendo risultati molto lusinghieri e la ascriviamo anche al nostro lavoro concreto con le varie società. Abbiamo immesso 10 milioni di euro, investendo molto su giovani e comitati regionali: le società hanno avuto un punto di riferimento, noi abbiamo chiesto fiducia e ci è stata data...».
Parole e musica del presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Cosimo Sibilia (clicca qui per l'intervista completa). Il numero uno dei Dilettanti, e vice presidente vicario della Figc (è sempre bene ricordarlo), esalta, a suo dire, il grande lavoro svolto dalla federazione e dalla lega da lui presieduta perché, numeri alla mano, ci si attendeva una maggiore moria di società calcistiche dovute alla crisi legata all'emergenza sanitaria vissuta per il Covid-19.
Parliamo di numeri: il format della Serie D è di nove gironi da 162 squadre. Un format che negli ultimi anni, ben prima dell'approdo in sella alla LND di Sibilia, non viene praticamente più rispettato. A causa dei fallimenti di società blasonate ed iscritte in sovrannumero in Serie D praticamente ogni anno si mette in moto il meccanismo di ripescaggi ed allargamento dei gironi del massimo campionato dilettantistico.
Resta però assurdo credere che solo per questo si debba essere orgogliosi. Anche perché nel recente passato si sono già registrati questi numeri e la crisi post Covid-19 non c'era.
Quest'anno sono stati determinanti gli aiuti per i club, in alcune regioni le società che disputano i campionati regionali hanno ottenuto di non pagare la tassa di iscrizione ad esempio, a rendere questi numeri positivi. Continuare a curare il sintomo e non affrontare la causa del male a cosa porterà?
Probabilmente al collasso del sistema. A maggior ragione ora che quasi tutti i comitati regionali hanno effettuato un allargamento dell'Eccellenza moltiplicando i gironi che già prima erano tanti.
Eppure, sono proprio i numeri che bisogna combattere. Avere più società non significa avere un sistema calcio più in salute. La storia recente ci insegna l'esatto contrario. Il sistema calcio italiano ha bisogno di ritrovare numeri a misura del Paese. Ci sono troppe società ed ogni anno bisogna assistere a fallimenti dolorosi che hanno toccato anche club per fortuna ora tornati ad una esistenza serena (vedi Fiorentina e Napoli).
La D ha ospitato, per così dire, nell'ultimo decennio club come (in ordine sparso) Pistoiese, Viterbese, Grosseto, Pisa, Arezzo, Spal, Avellino (due volte), Salernitana, Parma, Palermo, Messina, Taranto, Lucchese, Mantova, Matera, Martina, Fidelis Andria, Treviso, Giulianova, Triestina, Reggina, Reggiana, Modena, Venezia, Latina, Potenza, Cavese, Gela, Rimini (due volte), Viareggio, Trapani, Como, Perugia, Sambenedettese (due volte), Ancona, Ischia, Massese, Cuneo, Savoia, Novese (che vanta anche uno scudetto di Serie A in bacheca), Casale (altro club con uno scudetto di A nel palmares), Maceratese, Brindisi, Piacenza, Varese, Siena (due volte), Cesena, Foggia (due volte), Siracusa, Akragas, Bisceglie, Padova, Campobasso e l'elenco sarebbe ancora molto lungo... (sono infatti oltre 150 club i professionistici falliti negli ultimi diciotto anni) tutti club coinvolti in un saliscendi diabolico a causa di problemi societari sfociati poi in fallimenti.
Non vediamo, francamente, di cosa si possa essere orgogliosi. Vediamo, chiaro, invece, un segno di crisi che solo i vertici del calcio continuano ad ignorare rimandando riforme strutturali non più necessarie ma impellenti. Riforme che non possono più essere rimandate. Bisogna ridurre drasticamente il numero di club sportivi sia professionistici che, a maggior ragione, dilettantistici. I nove gironi a diciotto squadre di Serie D sono insostenibili se si vuole ragionare a lungo termine, basti pensare alle spese cui sono costretti i club solo per le trasferete (e mai come quest'anno nel girone "G" potranno testimoniare a riguardo).
Serve tornare ad investire seriamente nel settore di base e giovanile eliminando regole però che si sono viste essere inutili e deleterie come quelle sull'utilizzo obbligatorio dei cosiddetti "under" nei Dilettanti ed i premi sull'utilizzo dei giovani in Serie C perché hanno solo creato uno "sfruttamento" dei giovani ragazzi che non si è tramutato con una maggiore crescita di talenti nostrani ma ha legittimato soltanto storture.
Sbandierare l'elemento delle 166 squadre iscritte in Serie D è da orbi e siamo sicuri non fosse questo il proposito del presidente Cosimo Sibilia. Anche perché, il calcio italiano anche stavolta è costretto a piangere una scomparsa illustre: tra le non iscritte c'è infatti il Savona che ha cancellato così centotredici anni di storia calcistica (senza dimenticare la scomparsa della Sicula Leonzio in C e dello stesso Siena costretto a ricominciare dalla D). Senza dimenticare il caso che accomuna Campodarsego e Vigor Carpaneto. Il Campodarsego dopo aver acquisito il diritto a giocare in Serie C ha rinunciato all'iscrizione in terza serie italiana così come il club dell'Emilia Romagna ha rinunciato all'iscrizione in D, a cui aveva diritto, ripartendo dall'Eccellenza. Due casi sintomatici perché legati ad imprenditori accorti e lungimiranti come Daniele Pagin e Giuseppe Rossetti.
Insomma, i numeri vanno sì letti ma anche interpretati senza essere faziosi o portare acqua al proprio mulino e soprattutto (vedi i fallimenti di cui sopra) bisogna guardare ai fatti. Ci si augura fortemente che l'anno prossimo, quando gli aiuti economici non ci saranno più, non si debbano commentare numeri diversi ed ancor più difficili da mandare giù. Attualmente la Federcalcio politicamente è equilibrata: il peso maggiore è (con una logica alquanto incomprensibile se non per i numeri), detenuto dai Dilettanti (il che ha prodotto nel recente passato la presidenza Carlo Tavecchio in Figc) e si va verso la candidatura prossima proprio di Sibilia a numero uno del calcio italiano. In questa ottica è necessario che lo stesso Sibilia che faccia definitivamente sua la battaglia per la riforma strutturale del calcio italiano. In bocca al lupo presidente.
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