Un colpo deciso è stato inferto alle dinamiche criminali che aveva infiltrato il mondo del calcio italiano. Nel corso della mattinata odierna, ossia il ventinove ottobre, le forze dell'ordine hanno messo in atto operazioni coordinate tra i Carabinieri facenti capo al Comando Provinciale di Reggio Calabria e gli investigatori del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza. L'azione ha portato all'esecuzione di provvedimenti di arresto domiciliare disposti dal Tribunale della città dello Stretto nei confronti di cinque soggetti. Le accuse nei loro confronti sono particolarmente gravi e riguardano la partecipazione a un'organizzazione criminale dedita alle frodi nel contesto sportivo.
L'indagine che ha condotto a questi arresti ha visto il proprio inizio durante il mese di gennaio dell'anno corrente, allorché i Carabinieri appartenenti al Nucleo Investigativo della provincia reggina hanno avviato i primi accertamenti. Il prosieguo dell'attività è stato garantito anche grazie al coinvolgimento dei Finanzieri specializzati nella polizia valutaria, che stavano già svolgendo indagini coordinate con un'altra Procura della Repubblica. L'impulso iniziale che ha acceso i riflettori su queste malefatte è giunto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale ha segnalato movimenti inconsueti di denaro destinato a scommesse relative a una competizione calcistica nella categoria Primavera.
La ricostruzione emersa dalle indagini, corroborata dalle valutazioni del magistrato giudicante, ha permesso di delineare l'esistenza di un'associazione criminale strutturata attorno alla figura di un arbitro operante nella sezione di Reggio Calabria, il quale ricopriva incarichi di direzione arbitrale per le categorie Primavera, Primavera 2 e Serie C. Il ruolo di questo direttore di gara era cruciale: egli conduceva gli incontri calcistici in maniera da orientare gli esiti finali verso i risultati previsti dalle scommesse coordinate dai componenti dell'associazione illecita.
Anche dopo la sua sospensione dovuta all'intervento degli organi preposti al controllo della correttezza sportiva, che avevano riscontrato le prime anomalie, il direttore di gara reggino ha continuato la sua attività illegale. Ha infatti contattato e avvicinato altri colleghi arbitri, incaricati di dirigere specifiche gare, per corromperli mediante versamenti di somme monetarie o promesse di denaro, importi che potevano raggiungere anche i diecimila euro per singola partita. L'obiettivo rimaneva costante: indurre questi arbitri a condurre le gare in maniera funzionale al raggiungimento dei risultati su cui era stata effettuata la scommessa.
La struttura organizzativa dell'associazione comprendeva ulteriori soggetti che fornivano il loro supporto ai fini criminali. Questi individui s'impegnavano nel fornire assistenza sia dal profilo morale che materiale, occupandosi della ricerca di contatti con i direttori di gara che sarebbero stati designati per gli incontri oggetto di scommessa. Inoltre, investivano direttamente il proprio capitale nella piattaforma di scommesse del gruppo, con l'intento di partecipare ai guadagni derivanti dalle operazioni illecite.
Il meccanismo messo in atto era caratterizzato da una semplicità disarmante ma da un'efficacia indubitabile. Il direttore di gara orchestrava lo svolgimento delle partite affinché il numero totale di reti segnate fosse tale da assicurare il verificarsi del risultato denominato "over", vale a dire il superamento di una quota predefinita di goal nell'ambito di ciascun incontro.
Per ottenere questo risultato, l'arbitro ricorreva a metodi che compromettevano la lealtà sportiva. Concedeva rigori in quantità abnorme, nella stragrande maggioranza dei casi completamente inesistenti dall'effettivo punto di vista tecnico. In altre circostanze, optava per avvantaggiare una delle due compagini, generalmente quella il cui profilo di quotazione prometteva margini di guadagno superiori, mediante l'espulsione di atleti della formazione avversaria, scelte che mancavano di qualsiasi fondamento reale.
Le conseguenze di questi interventi arbitrali risultavano essere di straordinaria rilevanza per l'epilogo delle competizioni. I risultati ottenuti si discostava radicalmente da quelli che sarebbero emersi dal regolare e corretto svolgimento delle partite. Su questi esiti artificiosamente determinati e alterati, gli altri partecipanti all'associazione riversavano cospicue somme di denaro tramite scommesse, operazione che generava per loro profitti considerevoli.
La fonte di finanziamento dell'associazione criminale era costituita da due imprenditori toscani che intrattenevano rapporti di parentela, padre e figlio, gestori di un'agenzia specializzata in scommesse con sede a Sesto Fiorentino in provincia di Firenze. Questi due soggetti, anch'essi finiti nel novero degli arrestati, fornivano i capitali necessari principalmente al fine di corrompere ulteriori direttori di gara.
La stessa struttura di raccolta scommesse localizzata in Toscana era funzionale a incanalare importanti volumi di giocate sulle competizioni caratterizzate da questi interventi corruttivi. Gli approfondimenti condotti sulla documentazione bancaria e sui conti gaming utilizzati dall'organizzazione hanno consentito di individuare il ricorso da parte degli indagati a gestori stranieri di piattaforme di scommesse, non autorizzati a operare nel territorio dell'Unione Europea. Questa scelta risultava evidente sia come strategia per non attirare attenzioni su flussi considerevoli di scommesse.
I provvedimenti restrittivi sono stati adottati nel corso della fase investigativa preliminare e conservano la natura di atti passibili di contestazione. Di conseguenza, fino al raggiungimento di una sentenza che abbia acquisito stabilità, gli indagati devono mantenere la qualificazione giuridica di innocenti.
Autore: Redazione Notiziario del Calcio / Twitter: @NotiziarioC
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