Nel panorama calcistico italiano, la Serie D è da tempo vista come il serbatoio per i talenti di domani, un trampolino di lancio verso il professionismo. Eppure, un paradosso sempre più evidente emerge: nonostante la qualità non manchi, sono pochi i giovani che riescono a fare il grande salto.
Perché questo meccanismo si inceppa? A fornire un'analisi lucida e dettagliata è Luca Tardivo, ex calciatore dilettante, oggi direttore di un'agenzia di scouting e allenatore con patentino UEFA B.
Con un'esperienza consolidata in società come Chievo Verona e Spal, e con un'attività di consulenza per club di Serie A, B, C e D, Tardivo è un osservatore privilegiato del calcio di periferia. Negli ultimi quattro anni, ha contribuito a far passare diversi giocatori dai campionati regionali alla Lega Pro, e uno di loro è addirittura approdato in Nazionale U21.
Il potenziale inespresso del dilettantismo
"Nei dilettanti ci sono tanti ragazzi interessanti, il problema è scovarli," afferma Tardivo. "Vedere giocatori che passano dall’Eccellenza alla Lega Pro è una soddisfazione enorme. Il mio percorso da scout è iniziato proprio così: da calciatore, vedevo giovani fortissimi che non salivano di categoria e non me lo spiegavo."
Oggi, Tardivo sa che la risposta risiede nello scouting, un'attività fondamentale ma ancora troppo trascurata. L'esempio delle rappresentative LND è illuminante: ogni anno, un terzo dei ragazzi convocati trova un ingaggio in club professionistici. Questo dimostra che il talento c'è e, se individuato e supportato, può emergere.
Mancanza di progettualità e cultura nei club
La crisi dei giovani non è solo una questione di visibilità, ma anche di mentalità. Secondo Tardivo, sono pochissime le società di Serie D e delle categorie inferiori che investono seriamente nella crescita dei ragazzi.
La maggior parte dei club preferisce profili "già formati", considerati più affidabili. Ma questa valutazione si basa spesso su un curriculum superficiale o sul consiglio di un amico, anziché su un'analisi tecnica e umana approfondita. Il calcio dilettantistico, gestito spesso da dirigenti e allenatori che vivono l'attività come un hobby, fatica a investire tempo e competenze in progetti a lungo termine.
L'approccio è spesso difensivo, con i giovani impiegati in ruoli marginali come esterni bassi o portieri, invece di essere messi al centro di un progetto tecnico. Nonostante la regola imponga l'impiego di Under per il 30% del minutaggio, questa quota viene spesso vista come un obbligo da adempiere, e non come un'opportunità da valorizzare.
L'importanza dello scouting qualificato
"Il calcio dilettantistico è pieno di ragazzi con qualità vere, ma senza visibilità," spiega Tardivo. "Se non hai un procuratore o qualcuno che parla per te, resti nell’ombra. Anche se sei forte, anche se potresti fare il salto." Qui si inserisce la figura dello scout, spesso sottovalutata ma fondamentale per cambiare il destino di un giovane. Un bravo scout non si ferma al campo, ma osserva il giocatore in profondità: ne analizza i comportamenti, l'atteggiamento mentale, la capacità di adattamento e il margine di miglioramento.
"Un bravo scout riconosce il talento prima che diventi evidente a tutti," sottolinea. "Capisce quando un ragazzo può fare il salto, anche se oggi gioca in Promozione." Senza una rete di osservazione capillare, il calcio italiano rischia di perdere una risorsa preziosa.
Una rivoluzione culturale necessaria
Per trasformare la Serie D in un vero e proprio vivaio, è necessaria una rivoluzione culturale all'interno dei club. La soluzione, secondo Tardivo, è affidarsi a un'area scouting qualificata e strutturata. La maggior parte dei direttori sportivi dilettanti ha un altro lavoro e non può dedicarsi completamente alla squadra. "Uno scout, invece, può osservare, valutare, analizzare dati e caratteristiche tecniche, fisiche, psicologiche," spiega Tardivo. "Può davvero aiutare a fare scelte più consapevoli e a costruire un progetto."
La regola degli Under potrebbe funzionare, ma solo se sfruttata con la giusta cultura e professionalità. "Non basta dire che uno arriva da un settore giovanile professionistico per credere che sia pronto. La differenza tra campionati giovanili e prime squadre è enorme," conclude Tardivo. "Bisogna saper riconoscere chi è pronto e chi può crescere. Solo così la Serie D potrà tornare a essere ciò che dovrebbe: una vera fucina di talenti, non un parcheggio per illusioni."
Autore: Redazione Notiziario del Calcio / Twitter: @NotiziarioC
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