Tenerlo lontano dai campi è come mettere un leone in gabbia. L'insofferenza di chi è costretto a guardare ed invece vorrebbe essere lì, al limite della riga bianca che delimita il rettereno di gioco, tra quelli che puntualmente diventano i "suoi" ragazzi. I risultati con Arzachena (due stagioni di fila portata ai play-off), Nocerina (secondo posto e play-off) e Cairese (portata in corsa dalla zona "rossa" fino alla zona salvezza) non sono bastati. Marco Nappi è costretto a mordere ancora il freno dopo una estate passata alla finestra tra chiamate infruttuose e progetti velleitari rispediti al mittente. L'allenatore è tornato a parlare con NotiziarioCalcio.com.
L'ultima volta ci raccontò del proverbiale "veleno" dentro, quella voglia irrefrenabile di campo. C'è ancora?
«Il calcio per me è una parola: passione. Allenare mi piace, è la mia passione più grande. Non c'è nient'altro. Se tu hai la passione, la voglia, allora non puoi non avere quel fuoco dentro. Io non sono bravo a fare l'architetto, il medico o l'ingegnere. Però in questo sono capace ed invece devo stare fermo e guardare le partite in tv. Ho sempre voglia di campo, di insegnare calcio. Quest'estate è stata dura perché speravo di partire con un nuovo progetto dall'inizio, facendo la preparazione estiva ed invece non è accaduto ed ora sono alla finestra e spero che qualcosa si muova, anche se ho già avuto qualche chiamata. Per il momento invece devo stare qua e guardare le partite alla tv. Di questo mi dispiace. E comunque non sono solo io a stare così, siamo in tanti».
Qual è il progetto ideale che la riporterebbe immediatamente in campo. Ci sono dei requisiti non negoziabili?
«Farmi lavorare. La direzione tecnica della squadra è mia, spetta a me. Io non accetto compromessi. L'ho fatto una sola volta in vita mia e sono stato mandato via. Mi piacerebbe trovare un club ed un direttore sportivo che abbiano il mio stesso entusiasmo e la mia stessa voglia. Io mi sono trovato bene sia con il direttore Zucchi all'Arzachena che con Prete alla Nocerina per fare un esempio. Questo perché abbiamo lavorato insieme, senza mai mettermi il bastone tra le ruote. Il ruolo della società è dare supporto al proprio allenatore che poi dovrà rispondere dei risultati, ci mancherebbe. In caso questi non arrivino è normale che possa pagare un tecnico. La realtà è che oggi tante squadre ti prendono ma poi non ti permettono di lavorare. Questo è il problema più grande del calcio attuale».
Da sempre lei è attento ai giovani, hai iniziato guidando proprio squadre giovanili. Continuiamo ad essere in crisi per la produzione di talenti. Cosa pensa di questo e, soprattutto, ha una ricetta personale per uscirne?
«Ricette magiche non esistono, l'unica è il lavoro. Ed il coraggio. Purtroppo, in Italia continuiamo a dare minuti anche a ragazzi interessanti. Faccio l'esempio di Venturino a Genoa, un classe 2006 che in altri campionati giocherebbe senza problemi. Invece, qui da noi Venturino è un giovane che ha poca continuità. Stesso discorso vale per Camarda o Maldini, che giocano e non giocano, hanno un impiego a sprazzi. In altri campionati, come quello inglese, se un giovane è bravo lo buttano dentro, è un 2006? Bene. È un 2008? Meglio. Qui da noi, invece, questo non accade. Se un giovane non lo fai giocare, come speri possa crescere? Nel dibattito di oggi, a livello di settore giovanile, si sente dire sempre più spesso che ai ragazzi non bisogna insegnare la tattica ma lasciarli liberi di dribblare, di inventare. Certo che vanno lasciati liberi, ma insegnare loro la tattica è solo un vantaggio, bisogna insegnare loro come stare e come muoversi in campo. Poi il dribbling, la tecnica è qualcosa di innato che gli allenamenti migliorano ma questo non inficia la questione tattica, anzi diventa un fatto importante per la crescita di un giovane calciatore».
Se la chiamasse un club per allenare una formazione Primavera?
«Mi piacerebbe perché lì assapori già il grande calcio. Perché poi ci sono tanti giovani bravi e puoi dargli dei consigli. Questo perché hai sempre fatto questo, sai quali sono le dinamiche, quale consiglio puoi dare ad un ragazzo di 17-18 anni. Dopo due o tre anni magari lo vedi in serie A e dopo sai che orgoglio pensare di aver contribuito al suo percorso di crescita».
Quali sono oggi i problemi maggiori che riscontra un allenatore nel partire con un nuovo progetto?
«Ci sono tanti problemi che attanagliano il nostro calcio. Oggi si vuole tutto e subito. Fai le prime dieci partite e neppure ti si da il tempo di incidere, di conoscere i ragazzi, di allenarli e cercare di trasferire loro la mia idea di calcio. Questa peraltro è una problematica trasversale che parte dalla Serie A fino ad arrivare ai Dilettanti. Basti pensare a Tudor che se avesse perso sonoramente col Real Madrid a quest'ora probabilmente non sarebbe più l'allenatore della Juventus. Invece ha perso, sì, ma perché dall'altra parte ci sono tantissimi campioni che sono pericolosi e con una giocata possono sempre risolvertela. Però, Tudor deve avere tempo... il tempo anche di lavorare. Fare una programmazione cosa vuol dire? Vuol dire proprio dare tempo ad un tecnico di lavorare. Noi, purtroppo, in Italia siamo dei maestri a cambiare gli allenatori...».
Non posso non chiederle un pensiero sulla "sua" Nocerina che ha avuto un approccio a questo campionato un po' complicato. Cosa succede ai Molossi?
«Non essendo dentro, non posso sapere cosa stia succedendo. Ho avuto modo di vedere alcuni spezzoni di gara, così come la partita di Coppa con la Palmese. Di sicuro qualcosa che non andava si percepiva, per dire esattamente cosa però bisogna stare all'interno. Alla Nocerina auguro di ritrovarsi presto, perché Nocera è una piazza fantastica e con il pubblico che ha si parte già in vantaggio. Certo, bisogna avere gente di personalità. Gente con gli attributi. Io ricordo ad esempio, nella mia gestione, Giovanni Dorato, classe 2005, giocò titolare con me anche titolare nel derby, un giocatore di grandissimo carattere. A lui quello che succedeva fuori dal campo, come le possibili contestazioni dei tifosi, non interessava nulla. Perché aveva voglia di giocare ed emergere. Il brutto poi sa qual è? Che neppure li vedi più questi giocatori. Credo che Dorato sia quest'anno ancora senza squadra. Lo stesso Raffaele Mariano, terzino destro 2005, credo stia ancora cercando squadra perché quest'anno penso sia rimasto fermo. E questo è un grande dispiacere, aver allenato giocatori che potevano avere anche un futuro ed invece non lo hanno perché non gli permettono di avere un futuro. Si prendono questi ragazzi e poi si abbandonano. Li lasci andare via, perché subentrano le nuove annate "under" che devono giocare per forza ed allora i 2005 devono stare a casa. Ma chi lo ha detto? Chi lo ha detto? I giovani se sono bravi vanno tenuti. Se io ho un 2005 che è bravo, perché io non devo farlo giocare? Non posso giocare con cinque o sei under se sono forti. Questo non lo capisco. Il perché le società non ragionano così. Se io ho dei giovani forti che poi escono la stagione della successiva dalla categoria "under" perché non devo tenermelo anziché poi andare a prendere un calciatore esperto, che magari mi costa anche il doppio, magari logoro, tendente agli infortuni, invece di tenermi un giovane forte che ha entusiasmo, corre da mattina a sera? Invece molti ragionano così: prendo un calciatore d'esperienza perché magari l'anno prima ha vinto il campionato. Però poi alla fine succede che spesso a te non rende, e rappresentando un costo importante per le tue casse alla fine a dicembre lo svincoli pure. E tu alla fine hai perso un giocatore e pure il ragazzo che magari poteva pure crescere alle spalle di un giocatore importante».
Nocera le è scoppiata nel cuore.
«Assolutamente, come detto anche in altre occasioni, io mi sento e mi sentirò sempre un Molosso. Parlo di una piazza straordinaria, che mi ha regalato emozioni uniche. E c'è anche un rammarico...».
Quale?
«Che la società non abbia puntato sulla continuità. A fine stagione si poteva puntare su quel gruppo che era veramente forte, aggiungendo degli innesti mirati si poteva davvero competere per il traguardo più bello che è quello di tornare nel calcio che conta e che merita la piazza di Nocera».
Intanto si gode l'affetto dei tifosi rossoneri...
«Si, e mi dà grande soddisfazione che ancora adesso mi scrivono in tantissimi, che mi ritengono uno di loro. Sono le soddisfazioni più grandi perché hanno apprezzato l'allenatore che ha dato fino all'ultima goccia di sudore per loro ed anche l'uomo Marco Nappi. La mia era una squadra che lasciava tutto in campo, non mollava mai e riuscivamo ad esprimere anche un bel gioco come mi ricordano spesso proprio i tifosi. La loro spinta è sempre stata determinante insieme al carattere dei miei ragazzi, infatti quell'anno tante gare le vincemmo proprio nei minuti finali».
E detiene ancora un record a Nocera, giusto?
«A Nocera quando sono arrivato siamo partiti tra tante difficoltà ed un mercato in evoluzione con giocatori che andavano e venivamo. Mi hanno fatto lavorare, quello che da altre parti spesso non accade, e sono arrivati i risultati. Sì, mi tengo stretto il mio record di sette vittorie consecutive. Poi ricordo arrivarono tre pareggi di fila e già subentrò qualche malumore ma dopo altre tre vittorie di fila. È normale, non puoi vincerle tutte».
Anche ad Arzachena ha lasciato il segno.
«Vero. Tantissimi tifosi mi scrivono ancora adesso sui social facendomi tanti complimenti e ricordando le partite della mia gestione. Queste per me sono veramente cose belle e che ti fanno amare ancora di più quello che fai. Piace anche a me ricordare quel periodo anche perché è stata l'unica volta in cui sono partito dall'inizio, facendo il precampionato, con alle spalle una società importante, facendo benissimo e centrando due play-off, ed uscendo contro due squadre poi entrambe andate in C come Torres e Casertana».
Tanti suoi ex giocatori ancora oggi ci parlano con affetto di lei: oltre ai tifosi è un allenatore che è rimasto nel cuore di chi ha allenato.
«Sento ancora oggi tutti. Questo è il calcio quando dai e ti restituisce qualcosa di importante. Quando sei onesto coi giocatori, tu hai fatto il tuo come allenatore. Cosa significa essere onesti? Far seguire alle parole i fatti. Se io entro in uno spogliatoio e dico che con me gioca chi pedala a mille all'ora e poi non lo faccio, perdo di credibilità e dopo una settimana sono già "morto". Invece, io sono onesto e loro lo sanno. Pensi che proprio alla Nocerina, Tuninetti era fuori... io lo sento ancora adesso. Maimone arrivò un po' sovrappeso. Gli parlai, gli dissi di mettersi a posto e lo fece. Lo mandai in campo dal derby con la Cavese dove fece una partita spettacolare. Così tutti ti danno, anche se non giocano capiscono il momento. Petti con me ha giocato poco però era un calciatore per me importantissimo, anche durante la partita. Spesso in pratica mi faceva da secondo, e io lo ascoltavo sempre. Questi sono rapporti che ti fanno poi fare grandi risultati».
Autore: Redazione NotiziarioCalcio.com / Twitter: @NotiziarioC
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